Sfmr su un binario morto: così è svanito il sogno di una metro cittadina

PADOVA. Nella Rhein-Ruhr in Germania le “S-Bahn” si diramano in più di 10 città coinvolgendo un totale di 10 milioni di abitanti. A Barcellona i mille treni al giorno dei “Rodalies” raggiungono 203 stazioni in tutta la Catalogna, compreso l’ aeroporto internazionale di El Prat. E il Veneto che con le grandi regioni europee compete sul terreno economico, resta a piedi quando si tratta di prendere il treno.
Lo scorso aprile la Regione ha definitivamente archiviato l’Sfmr, il sistema ferroviario metropolitano regionale. Il progetto della metrò di superficie di un territorio policentrico, un’idea che nasce nel 1988 quando a Palazzo Balbi c’era Carlo Bernini e le correnti della Dc animavano la scena politica del Veneto bianco. E si poteva sognare che nel 2000 ci sarebbe stato un treno ogni quarto d’ora per collegare Padova a Venezia, Treviso e Vicenza.
Cosa rimane oggi, trent’anni dopo e la crisi della “locomotiva Nordest” di mezzo? Un fascio di binari inutilizzati, che attraversano la città e le stazioni disegnate sulla carta del piano regolatore.

L’esempio di Busa di Vigonza L’unica stazione realizzata in città è, quasi paradossalmente, fuori dai confini comunali. A Busa di Vigonza la fermata è molto semplice, ed ha sostituito la vecchia stazione di Ponte di Brenta: due binari e un sottopasso, a fianco della linea dell’alta velocità. Il sogno di un treno ogni quarto d’ora per Venezia non si è mai concretizzato. Ci sono i regionali che passano ogni mezz’ora nei periodi di punta: 42 minuti per arrivare a Santa Lucia, con stop Vigonza, Dolo, Mira, Mestre e Porto Marghera. Meglio di nulla. In 6 minuti però si raggiunge Padova, potrebbe essere un comodo accesso da est alla città. Ma bisogna arrivare puntuali a prendere il treno altrimenti l’attesa è lunghissima. E non sempre ci si riesce, visto che il parcheggio è di appena 45 posti e si rischia di dover girare a vuoto nelle stradine per trovare un buco.
In una mattina d’agosto non ci sono pendolari, solo uno sparuto gruppetto di turisti francesi diretti in laguna.

San Lazzaro, fermata ospedale L’altra fermata padovana sull’asse per Venezia è a San Lazzaro. La si nota, piccola in alto, nei rendering del nuovo ospedale. Finora però è solo sulla carta perché nel luogo dove dovrebbe sorgere c’è solo un locale Acc (cioè l’apparato centrale computerizzato delle Ferrovie) e le ruspe dell’impresa che sta lavorando all’Arco di Giano, cioè la strada di collegamento tra lo svincolo di via Einaudi e il cavalcavia Maroncelli.
Il punto è talmente strategico che la giunta Bitonci, assieme a Regione, Camera di commercio e Confindustria aveva pensato (finanziando uno studio di pre-fattibilità) di realizzare lì anche la stazione della Tav, relegando ai treni regionali Padova centrale. Non se n’è fatto nulla per il no di Ferrovie.
Di certo un’ipotetica metropolitana di superficie potrebbe servire lì ben due quartieri, oltre al futuro polo sanitario: San Lazzaro e i grandi condomini di Mortise.

Roncajette e la zona industriale Sulla carta una stazione Sfmr avrebbe dovuto sorgere anche a Roncajette, dove arrivano i binari del raccordo tra stazione centrale e zona industriale. Serviva a collegare con il centro Terranegra ed anche i tanti pendolari che raggiungono le fabbriche. Un progetto che è ancora nei programmi dell’amministrazione, con il vicesindaco Lorenzoni: «Ci piacerebbe che la Regione investisse una decina di milioni per comprare due treni: c’è già tutto, servono solo i mezzi», spiegava poche settimane fa.
Campo di Marte e Brusegana Sulla linea verso Monselice e Bologna (non inserita nella prima fase dell’Sfmr) era stata individuata una fermata anche a Brusegana, all’altezza di “Campo di Marte”, vicina a Chiesanuova e all’ex ospedale ai Colli. I dieci binari dell’ex scalo merci ormai non servono più, Rfi aveva anche approntato un progetto: 12 milioni per banchine, parcheggi e un sottopasso tra via Palestro e via Pelosa. Tutto dimenticato. E da dimenticare. —
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova