Siamo tutti un po' Fantozzi

Ma che fatica diventare più buoni per farci accettare
Paolo Villaggio ovvero il ragionier Fantozzi e, in alto Adriano Zamperini
Paolo Villaggio ovvero il ragionier Fantozzi e, in alto Adriano Zamperini
Creato dalla fantasia di Paolo Villaggio, Fantozzi è personaggio noto a tutti. Così popolare da essersi saldamente insediato nel nostro immaginario e nel linguaggio che usiamo ogni giorno. A detta dei critici, il ragioniere Ugo Fantozzi rappresenta l'italiano medio degli anni Settanta - sebbene ancora oggi continui a parlarci e a farci ridere amaramente. Conduce uno stile di vita mediocre: diploma, semplice impiegato, casa in equo canone e così via. Completamente sprovvisto di qualità e decisamente sfortunato, è umiliato e tiranneggiato da chicchessia. Viene malmenato da un gruppetto di bulli, resta impalato sulla bicicletta perché si stacca il sellino, affoga con la faccia in una torta, all'occorrenza diventa un parafulmine e altre disavventure del genere lo perseguitano. Presso la propria ditta deve guardarsi da un megadirettore esigente e da compagni di lavoro arrivisti. Tra i pochi che lo degnano di qualche attenzione c'è il ragioniere Filini, organizzatore di strampalate gite aziendali, e la signorina Silvani, oggetto delle sue passioni amorose, ovviamente mai ricambiate. L'unico porto sicuro e accogliente - per modo di dire, visti gli standard esistenziali di Fantozzi - è la famiglia. Composta da una moglie insignificante e bruttina e da una figlia ottusa e orripilante. E il trio dà vita a relazioni e affetti desolanti. Emblematico uno scambio di battute tra i coniugi: lui si rivolge a lei chiedendo conferme: «Ma allora.... vuol dire che... tu mi... mi a...?», sentendosi rispondere: «Ugo, io... ti stimo moltissimo». Nemmeno la moglie riesce a dirgli che lo ama, di fatto avendone compassione. Forse chi è professionalmente preparato ad aiutare le persone che soffrono potrà capirlo e sostenerlo. Ma lo psicoanalista della mutua, cui si rivolge, lo annichilisce con una celebre battuta: «Ragionier Fantocci (storpiandone il nome), lei non ha nessun complesso di inferiorità! Lei è inferiore!». Indubbiamente, nell'insieme, una situazione desolante. E il nostro solerte travet, benchè vessato da un'azienda che non lo riconosce affatto, se no per fini di bieco sfruttamento, non pensa minimamente a licenziarosi. Di più: continua a frequentare i colleghi della «Megaditta» pure al di fuori dell'orario di lavoro. I quali, ovviamente, perpetuano i loro modi abituali di trattarlo, trasformandolo nell'emblema dell'uomo sopraffatto. O, per dirla con altri termini, in un'icona dell'individuo ostracizzato. Che, per cercare di guadagnare approvazione, adotta una grottesca attitudine alla sudditanza psicologica. Sino a offrirsi quale triglia umana nell'acquario del suo megadirettore. Sicuramente, un'iperbole tragicomica di servilismo. Eppure, con lo sguardo acuto di chi sa osservare i rapporti interpersonali, Paolo Villaggio cattura, esasperandole, le varie modalità comportamentali piegate a un servilismo che si vorrebbe pagante. In termini di accettazione e inclusione.  A livello generale, gli ostracizzati che credono nella possibilità di ristabilire la relazione interrotta sono particolarmente propensi a intraprendere azioni prosociali. E più il rapporto interpersonale è valorizzato e ritenuto importante, più avvertita è la spinta a un suo recupero. Sforzi che mirano a ottenere la benevolenza e i favori del respingente. Per esempio, prendendosi particolare cura del partner, di un amico, di un collega o di un intero gruppo di persone. Non vedendo all'orizzonte desiderabili alternative. Un ulteriore elemento che induce a impegnarsi per salvare la relazione è l'alto costo psicologico associato all'essere ostracizzati. A un fidanzato lasciato dall'amata può prospettarsi un futuro di solitudine e disperazione. Il venire esclusi da un gruppo magari si traduce nel dover far fronte a continue umiliazioni e a un profondo imbarazzo. Tutte situaizoni che costano. E, nell'insieme, maggiore sarà stato l'investimento - in termini affettivi, temporali, economici e sociali - più il respingimento apparirà oneroso. Motivando ogni sforzo possibile per porvi rimedio. Cercando altresì di prevenire ulteriori manifestazioni.  In definitiva, la servilità sociale va qui intesa quale propensione individuale a essere eccessivamente preoccupati di andare d'accordo e piacere agli altri. Al punto da diventare decisamente malleabili e ossequiosi. Vediamo le principali modalità comportamentali che si fanno espressione di una simile tendenza.

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