Soffiate a Galan sull’inchiesta Mose. Confermata la condanna per Cappadona

PADOVA. Le “soffiate” a Galan arrivano in appello. E un’altra condanna è confermata per il luogotenente dei carabinieri Franco Cappadona, 63enne siciliano d’origine ora in pensione, per quasi 30 anni a capo dell’ufficio della procura padovana che gestiva le inchieste sulla Pubblica amministrazione. Ieri la prima sezione penale della Corte d’appello di Venezia (presidente il giudice Francesco Giuliano) ha confermato la pronuncia a 2 anni e 5 mesi di carcere inflitti in primo grado all’ex sottufficiale, imputato di rivelazione del segreto d’ufficio aggravato per la sua veste di pubblico ufficiale e di favoreggiamento personale (aggravato in quanto commesso con abuso di poteri) nei confronti dell’allora governatore del Veneto Giancarlo Galan, reati commessi tra il 2011 e il 30 gennaio 2014. Accolta la richiesta del sostituto procuratore generale Giovanni Valmassoi. Delusa la difesa, il penalista Roberto Boev che è pronto a far ricorso davanti alla Cassazione: il che potrà avvenire solo entro 45 giorni dall’ultimo giorno utile fissato per il deposito della motivazione della sentenza, 90 giorni. «Non c’erano i presupposti né per il favoreggiamento viste le dichiarazioni dello stesso Galan, chiamato a testimoniare nel corso del processo, né per la divulgazione di notizie riservate che erano già sulla “piazza” da tempo. Ora aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza» si limita a dire l’avvocato Boev.
L’ex comandante
Franco Cappadona ha atteso la sentenza nella sua abitazione di Piove di Sacco dove vive. Il 10 ottobre scorso gli era stato notificato un ordine di carcerazione, con la sospensione dello stesso atto, in seguito alla condanna in via definitiva a 4 anni per tentata concussione in quanto aveva cercato di condizionare la scelta della nuova sede Arpav. Condanna che ha chiesto di scontare attraverso la misura alternativa dell’affidamento ai Servizi sociali: sulla richiesta dovrà pronunciarsi il Tribunale di Sorveglianza.
Il processo
Il processo per le soffiate a Galan si è concluso in primo grado il 5 ottobre 2018: condanna per Cappadona; assoluzione per intervenuta prescrizione nei confronti del coimputato Franco Ferlin, uno dei protagonisti della tangentopoli veneta che aveva sancito l'alleanza fra il doroteo Carlo Bernini e il socialista De Michelis per il finanziamento dei rispettivi partiti a colpi di mazzette. Ferlin era stato braccio destro dell’ex presidente della giunta regionale nonché leader doroteo Franco Cremonese, poi portaborse dell’altro capo della stessa corrente scudocrociata Carlo Bernini, potentissimo governatore del Veneto, poi ministro anche lui travolto dalla fine della Prima Repubblica.
«Dì all’amico che la Gdf sta indagando per sapere se el ga becà o nol ga becà (se ha preso o meno soldi) e su villa Rodella» è la telefonata intercettata nell’aprile 2013 fra il militare e l’allora consigliera regionale di Forza Italia, Regina Bertipaglia. Attraverso di lei Cappadona voleva informare Galan che la Guardia Finanza stava indagando su di lui e sui lavori di restauro a villa Rodella, la dimora di Cinto Euganeo dove furono celebrate le sue fastose nozze alla presenza del premier Silvio Berlusconi. Lavori finanziati con mazzette come emerso dall’inchiesta sul Mose. Cappadona aveva chiamato pure Galan per sincerarsi che il messaggio fosse giunto a destinazione: «Hai parlato con la Regi?... io ti notizio». In aula davanti al tribunale padovano la Bertipaglia aveva confermato la conversazione, spiegando di non aver riferito nulla a Galan. E in aula l’ex governatore aveva ammesso la frequentazione con Cappadona definendolo «un esponente molto ascoltato in questo Palazzo...» ma precisando che «in quell’anno avevano arrestato la mia segretaria... Volete che non pensi che stanno indagando su di me?». Non è bastato. E Cappadona non ha evitato la condanna. —
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova