Staffa-killer senza sicura: il camion era fuori norma

PADOVA. Non c’era il “fermo”. Nessun ancoraggio per quel braccio meccanico che, come la lama di una ghigliottina, è piombato sui quattro veicoli in fila e, uno dietro l’altro, li ha sventrati, uccidendo il dipendente postale Massimo Bettini.
Il pubblico ministero padovano Daniela Randolo ha aperto un’inchiesta sul tragico incidente e come primo atto (dovuto) ha iscritto nel registro degli indagati per i reati di omicidio e lesioni colposi il quarantenne D.Q. di Piove di Sacco, lo sfortunato autista che guidava il camion-gru. Ma il quadro delle responsabilità andrebbe ben oltre, perché se quell’autocarro targato Acegas Aps correva per le strade e veniva utilizzato fino all’altro ieri per le operazioni di nettezza urbana, significa che aveva il via libera dell’azienda. O almeno di chi, all’interno di Aps, ha la responsabilità del “parco mezzi” di proprietà della società, della loro manutenzione e revisione periodica come dell’adeguamento in materia di sicurezza.
Punti da chiarire. All’inizio l’incidente sembrava essere stato causato da una tragica fatalità, alcuni bulloni o viti allentati che avrebbero dovuto assicurare la “chiusura” della staffa-killer e del piedino agganciato ad essa, ovvero l’asse verticale in ferro o acciaio (azionato attraverso un comando grazie a un pistone) impiegato per stabilizzare il camion durante l’utilizzo della gru indispensabile per caricare i cassonetti. Una gru che non era più usata, tanto da essere stata sganciata e, da tempo, sistemata nel deposito perché il camion aveva un diverso utilizzo.

Sorpresa: non c’era il fermo sulla staffa, inserita in un carrello sotto il cassone del mezzo da cui si estrae. E, allora, viene da chiedersi: il camion era a norma nonostante revisione e manutenzione? Il fermo si era rotto senza che nessuno se ne fosse accorto oppure mancava del tutto perché il veicolo non risultava adeguato alle normative in materia di sicurezza? Un fermo (o sicura) che è costituito da un gancio, una sorta di chiodo a “L” destinato a impedire l’apertura della staffa come si è verificato venerdì mattina. Sono tutte domande alle quali dovrà rispondere l’inchiesta.

L’indagine. Di supporto alla Polizia municipale, il magistrato aveva inviato sul posto anche i tecnici dello Spisal (il Servizio di prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro) per una dettagliata “fotografia” dell’accaduto che sarà oggetto di una consulenza tecnica per l’esatta ricostruzione della dinamica. Un’altra consulenza sarà disposta sul tratto stradale di via Vigonovese, sopra il ponte di San Gregorio, in cui è successo l’incidente: l’arteria si restringe molto. E lungo il senso di marcia da cui proveniva il camion Aps – prima di imboccare il ponte – la strada presenta una doppia curva molto pericolosa. Il pm sentirà le tre vittime sopravvissute: l’autista pachistano Ghulam Ghous, al volante del furgone Fiat Doblò del corriere espresso Sgt che stava iniziando le consegne, il settantenne pensionato che guidava la sua Fiat Panda comprata appena tre giorni prima con il dipendente postale 56enne alla guida della Mazda.
L’autista indagato avrebbe già dichiarato agli inquirenti che mai, prima di quel giorno, aveva guidato il mezzo in sosta nel deposito in corso Stati Uniti, ora sotto sequestro. Chi aveva indicato al lavoratore Aps di utilizzare quel camion e non un altro? Un camion che, è scontato, sarà sottoposto a un accertamento tecnico per verificare lo stato e le condizioni nonché tutte le certificazioni relative a sicurezza e manutenzione. Intanto domani sarà affidata l’autopsia sul corpo di Massimo Bettini.
L’incidente. Venerdì, appena passate le 6, c’era già traffico in via Vigonovese nei due sensi di marcia. Dalla zona industriale il camion Aps aveva imboccato il ponte San Gregorio per dirigersi in Prato della Valle; dall’opposta direzione viaggiavano la Panda, la Mazda e il Fiat Doblò. I mezzi, uno dietro l’altro, sono stati aperti come una scatola di latta. Poi c’era la Nissan Juke guidata da Bettin. Tutti miracolati, tranne quest’ultimo.
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