Stanga, un quartiere raccontato dai suoi abitanti

Da via Anelli al Ruzante, il libro cartonero di Gianni Belloni, con l'intervento di Francesco Jori. Una storia padovana

ZONA SCONSIGLIATA

“Zona sconsigliata”, veniva bollata su Tripadvisor nel luglio 2013, in risposta alla richiesta di una studentessa universitaria che doveva trasferirsi a Padova e cercava notizie su dove andare ad abitare. Un interdetto motivato in larga parte dalla famigerata via Anelli, quello che pesava sulla Stanga; ma nei non pochi verdetti negativi, era tutto il quartiere a uscirne come una cajenna.


Quella trasposizione padana del venefico Bronx newyorkese risentiva di una colossale mistificazione mediatica costruita attorno a un muro-non-muro eretto attorno alle tanto chiacchierate palazzine, presentate come un’enclave fuorilegge dove entrare, ma anche solo girarvi attorno, era ad alto rischio.

In realtà si trattava di una banalissima recinzione; ma pochissimi dei moltissimi giornalisti che ne scrissero, anche di prestigiose testate straniere, si erano presi la briga di venire a verificare di persona. Uno dei pochi fu Giuseppe D’Avanzo, inviato di “Repubblica”, scomparso qualche anno fa: inviato all’antica, conservava la sana abitudine di voler toccare con mano. Arrivò a Padova, si fermò qualche giorno, e chiese a chi scrive di accompagnarlo.

Peccato non ci fosse allora, questo “libro cartonero” che racconta la Stanga, via Anelli inclusa, dal di dentro: con le testimonianze di chi in zona girava tranquillamente, senza mai trovarsi esposto al benché minimo incidente.

Ma sarebbe comunque riduttivo, trattare come un fenomeno di degrado urbano (molto legato, è bene dirlo, dall’”auri sacra fames” di diversi padovani-bene che lucravano sugli affitti ammassando gente in ogni singolo appartamento) un quartiere che ha alle spalle una lunga e singolare storia: area di confine, come suggerisce il nome stesso “stanga”, essendo il punto del dazio attraverso il quale transitare per entrare in città.

E come tutte le aree di confine, luogo di separazione ma anche di collegamento, di transito, di scambi: tra foresti e indigeni, certo; ma pure tra padovani di periferia e padovani di centro, impegnati in diuturni passaggi che avevano la loro spina dorsale nell’asse lungo via Belzoni, con lo snodo di un Portello dove covava l’anima più popolare della città; non a caso confinante con quei Paolotti che oggi sono colta sede universitaria dello studio, e ieri erano sede carceraria dei colti sul fatto: in larga misura ladruncoli di biciclette, che trovavano nel parroco del rione un santo protettore pronto a farsi cuscinetto tra autorità costituita e piccoli delinquenti costituitisi spontaneamente, più spesso acchiappati loro malgrado.

Era, quel Portello, l’anima cruda e verace di una Padova che conservava a distanza di secoli il Dna del Ruzante, dove il rude pavano aveva il sopravvento sull’aulica patavinitas. Ed era anche la zona extraterritoriale della città, in cui aveva messo radici la saga di Pace e Scheo, figure leggendarie forse mai esistite in carne ed ossa, eppure riuscite ad assurgere a protagoniste di un’autentica epopea tradotta in memorabili barzellette tramandate di bocca in  bocca attraverso una robusta tradizione orale.

Adesso, a guardarla dall’alto, la Stanga è un cerchio atipico all’ingresso della città, assimilato a un colossale fagiolo, dove l’urbanistica delle funzioni ha triturato ogni traccia del passato, spinta com’è dalla logica del “direzionale” (uffici, affari, scambi commerciali, il trionfo del Pil costruito sul deserto delle relazioni).

Ma un tempo era in realtà il primo avamposto di una campagna totale non ancora colonizzata dalla zona industriale, e dunque dipanata fino alla linea d’acqua della laguna e allo straordinario skyline liquido di Venezia. A ridosso di quelle quattro mura era già in qualche modo città moderna, con fabbriche come le Officine Stanga o la Viscosa, in cui si faceva teoria e pratica della produzione ma anche del movimento operaio; dove la coscienza dei diritti maturava a fatica dentro gli ingranaggi della catena di montaggio.

Il piano della mobilità urbana dell’epoca, in quel contesto, era semplice e lineare in quanto collaudato da secoli: erano i piedi il mezzo di trasporto pressoché esclusivo, che in poco più di un quarto d’ora ti portavano nel cuore vivo della città, a conoscerne odori ed emozioni, volti e storie, crescite e contraddizioni.

La gente andava e veniva tra le due città, la periferia e il centro; e tra questi pendolari della scarpa figuravano anche alcuni dei gestori dei banchi di frutta e verdura delle piazze, vero e proprio centro commerciale ante-litteram a cielo aperto, il contrario delle colate di cemento che oggi hanno devastato tanta parte di un territorio un tempo esemplare.

Ci voleva, allora, un “libro cartonero” che fin dal nome evoca qualcosa di extraterritoriale, per restituire l’immagine dal di dentro di un pezzo di città ben diverso da quello cui migliaia di persone, padovani compresi, passa accanto durante la giornata. Senza accorgersi che lì dentro c’è una vita, fatta di tante vite.

UN VIAGGIO *



Un viaggio in un piccolo territorio della nostra città, Padova. Un viaggio che man mano si allarga anzi va in
profondità, entra nel dettaglio nel tempo e nello spazio, facendoci incontrare volti, storie, emozioni, strade, edifici, gruppi di persone e singoli individui.

Un viaggio collettivo, in cui le voci si alternano e si rimbalzano restituendoci un territorio ricco e variegato, una storia non scontata, un futuro possibile. È questo il viaggio in cui Gianni Belloni ci accompagna attraverso questo interessantissimo scritto permettendoci di conoscere un pezzetto di storia e di vita di uno dei rioni “porta” della nostra città, la Stanga.

Ho conosciuto la Stanga quando ero molto giovane, quando frequentavo le medie al Portello, subito dentro
alle mura, e avevo tra i compagni alcuni ragazzi che là abitavano, subito fuori le mura. Andare a trovarli aveva
il sapore di un vero e proprio viaggio non solo perché richiedeva un percorso un po’ più lungo di quelli intrapresi fino a quel momento, ma perché passare di fianco alle mura cinquecentesche, superare il Piovego e attraversare l’immenso incrocio a stella per raggiungere le loro abitazioni aveva qualcosa di epico.

Ritrovo ora, nelle pagine di Gianni Belloni e nelle foto dei ragazzi che hanno ora l’età che avevo io allora, la
consapevolezza di fare in qualche modo parte della Storia, quella con la S maiuscola che delle nostre piccole storie si compone. Padova, la nostra città, è ricca di queste storie: ogni rione è un po’ un villaggio, con le sue tradizioni, i suoi luoghi e i suoi nomi che raccontano gli anni, i decenni, spesso i secoli passati e su cui nel tempo si sono innestate le vicende, le persone, le trasformazioni più recenti.



Perché Padova è da sempre una città in trasformazione, un luogo di passaggio per molte persone qui approdate per motivi di studio o lavoro, religione o salute, una città su cui la storia passata e quella recente hanno lasciato le loro tracce.

Ecco sentirci “a casa” in questa Storia e in questi luoghi, riconoscere che anche la nostra storia personale, qualunque essa sia, fa parte della Storia di questa nostra città, sentirci  appartenenti a questo territorio che abitiamo, credo sia il modo migliore per sentirci cittadine e cittadini, la cui voce è autorevole al pari di tutte le altre nel dare un contributo alla città dell’oggi e del domani. Per noi ora, per i nostri figli e figlie, per i figli e le figlie di coloro che di Padova faranno la loro città. Un grazie a chi ha composto questo lavoro. Un grazie di cuore a tutte le voci che lo hanno reso possibile.

* Francesca Benciolini, assessora al decentramentoINCERTE GEOGRAFIE


INCERTE GEOGRAFIE

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La Cascina è un angolo di serenità dove una decina di pargoletti, silenziosissimi, ballonzolano tra i giocattoli
all’ombra del giardino. Li accudiscono tre giovani maestre d’asilo. È qui che ci accoglie, con un sorriso largo
e la risata cristallina, Laura Salmaso. “Quelli che arrivano si stupiscono della tranquillità, venendo alla Stanga chissà cosa si immaginano di trovare”.

Iniziamo da qui il nostro viaggio nel rione Stanga, nel pieno della contraddizione tra una pesantissima nomea, legata soprattutto al ghetto di via Anelli, e una realtà multiforme, sorprendente e contraddittoria. Che abbiamo deciso di esplorare. In tutto questo la Cascina è un vero e proprio imprevisto: una vecchia casa colonica, casualmente risparmiata dall’abbattimento, un reperto del passato contadino dell’area, incastonata tra i variegati condomini sorti intorno agli anni Settanta e gli orti sociali, curati e frequentati con assiduità.

Restaurata per iniziativa della parrocchia, ospita dal 2010 l’associazione Renato Franco poi evoluta in cooperativa e dove hanno sede il micronido per i bimbi e altre multiformi attività sociali.La Stanga, un reportage Laura divide le sue attività tra la cooperativa e la scuola dell’infanzia della parrocchia. “Renato Franco, al quale l’associazione ha dedicato il nome – ci spiega –, era una persona molto conosciuta in città che abitava qui in zona ed è stato lui a vedere nella casa diroccata la possibilità di farci qualcosa. È morto due anni prima che si costituisse l’associazione. Lui aveva l’idea di farci una biblioteca.

Il parroco, che era un vulcano, ha pensato ad altro. Mi stavo laureando in scienze dell’educazione, lui mi ha chiamato e ho iniziato qui”.

LA STORIA, LE STORIE



L’area della nuova Stanga – dove sorgono una serie di condomini e di villette in una ordinata scacchiera di
strade tra ampi spazi verdi – faceva parte del Piano per l’edilizia economica e popolare (Peep), approvato negli anni Sessanta e che prevedeva la maggior parte degli alloggi qui, nella porzione nord orientale della città.

Molti dei condomini vennero costruiti grazie all’intraprendenza delle cooperative edilizie che dal ‘73 poterono
usufruire di nuove agevolazioni fiscali. “Il parroco della Zona industriale (Zip), don Mario Castaldo, insieme al geometra Giacobbe organizzò una serie di cooperative edilizie per venire incontro ai bisogni abitativi degli operai della zona, siamo a metà degli anni Settanta – ricorda con precisione Gabriele Brigo –. Lui
si dedicava al sociale aiutando questi operai, li metteva insieme e faceva nascere queste cooperative. Sei o sette ne ha fatte sorgere. Ci si appoggiava a delle imprese edili che vincevano gli appalti. Le cooperative erano i committenti. Una parte iniziale dei soldi per l’acquisto si tiravano fuori e poi si accedeva ad un mutuo aiutati dal geometra Giacobbe”.

È così che sono sorti i condomini nell’area delle vie Galliano, De Cristoforis, via Martiri Giuliani e Dalmati, via Nicotera, via Alimondi. Erano i nuovi abitanti della Stanga. Ceto impiegatizio, principalmente.

“Aiuta la lettura dell’attuale situazione ritornare a quegli anni – racconta Rinalda Montani, dirigente Unicef, eloquio raffinato, energia e curiosità da vendere –. Quegli abitanti erano coppie giovani con diversi figli, poi i figli sono andati via e in questi anni sono rimasti i genitori anziani. Adesso c’è un leggero ritorno di coppie giovani”.

Sul lato di via Alimondi troviamo villette unifamiliari costruite da una cooperativa edilizia dei dipendenti del Comune di Padova. Su via Galliano i condomini erano di proprietà dell’Istituto di previdenza dei dipendenti statali e poi dell’ente per il diritto allo studio. Si tratta di “grappoli sociali”, come li definisce efficacemente Rinalda Montani, ciascuno con la sua storia e le sue modalità di convivenza, ma che hanno avuto in sorte, negli anni, di affrontare il vortice di accadimenti che hanno segnato questo rione.

VIA ANELLI



“Era il ‘98, era assurdo, passavo in macchina con mia madre, c’era una corsia sola, nell’altra c’erano due-tremila persone che invadevano una corsia, tutti i portici erano tutte teste, c’erano tutte teste sotto, c’era ancora il discount.

Era una cosa assurda, tipo poi, viaggiando mi è tornata in mente vedendo le banlieue di Parigi, quella cosa là, era molto forte come cosa mai vista da nessun’altra parte, era giungla totale. Visivamente era forte, ma non mi sentivo minacciato”.

Daniele Varotto, allora un ragazzo del quartiere, ci riporta in questo modo, una sorta di carrellata cinematografica, il suo primo impatto cosciente con la realtà di via Anelli. E in via Anelli si deve passare: è un nodo ineludibile nella storia e nella geografia del rione. E nell’immaginario che lo perseguita.

L’area dei famosi condomini, oggi, più che svuotata sembra immobile. Sbarrati dal luglio del 2007 gli accessi, e alle finestre dei primi piani s’intravedono qui e lì le tracce di una vita interrotta, segnali che ci fanno percepire un passato non del tutto spento. I condomini in rovina paiono mettere in mostra lo stridore tra passato e futuro. Impongono sosta e riflessione. Ricordando, magari, come veniva pubblicizzato il nuovo complesso “la Serenissima” quando venne costruito: “Il progetto (…) cerca di soddisfare, almeno in parte, il bisogno abitativo studentesco della Città di Padova che oltre ad essere sede di Università di risonanza internazionale si avvia a diventare una importante città industriale, come tale, polo metropolitano di vastissima attività. È noto ormai che la richiesta di questo tipo di alloggi si fa sempre più interessante, non solo da parte di studenti universitari che soggiornano a Padova in più mesi dell’anno, ma anche da tecnici, manager, produttori economici e così via, i quali potranno trovare nel Residence Serenissima il luogo di soggiorno moderno e soprattutto confortevole”(3).

Il residence era destinato ad ospitare in mini appartamenti di 35 metri quadri, un massimo di 572 persone.
Nell’agosto 2003 la polizia dopo un sopralluogo ha rilevato la presenza di circa 1200 persone, di cui 900
abitanti stabili e circa 300 ospiti temporanei presso parenti, amici, conoscenti.

Negli anni le sei palazzine di via Anelli hanno assistito ad un mutamento radicale nella composizione sociale degli abitanti: esodo degli studenti attirati da possibi-lità più economiche che si aprono in zone più vicine al
centro e arrivo di immigrati vittime dell’impossibilità di accedere ad altre soluzioni abitative e di meccanismi
speculativi. Nessun intervento di manutenzione a fronte di alti prezzi degli affitti che costringono al subaffitto
dei piccoli spazi a disposizione. A questo si aggiunge l’innesto della criminalità con l’insediamento nell’area
di un fiorente mercato delle sostanze e della prostituzione.

Con una importante e coraggiosa operazione dell’amministrazione comunale gli abitanti dei condomini verranno trasferiti, nel 2007, in diverse abitazioni della città di Padova e il complesso verrà chiuso. La storia
del ghetto è contrassegnata da tante cose e da tante vite. E da una enorme e minacciosa nuvola di narrazioni
che si è concentrata su via Anelli, sugli aspetti più crudi e scioccanti di quella realtà, spesso utilizzando
un comodo registro binario tra buoni e cattivi, vittime e carnefici. Quelle narrazioni, a dieci anni dalla chiusura
di via Anelli, condizionano ancora la vita del rione. “Lo stigma di via Anelli pesa e pesa tanto” sottolinea Paolo
Dalla Libera, genitore di tre figli che frequentano le scuole della Stanga.

Sulla genesi del ghetto, sulle sue caratteristiche e sul suo destino sono state scritte molte cose: alcune ad effetto, altre più meditate. Ci limitiamo a richiamare quanto scritto da Claudia Mantovan, sociologa dell’Università di Padova che sottolinea come la sua formazione sia risultata “il prodotto di una combinazione di differenti fenomeni e politiche relative alla trasformazione delle condizioni strutturali del mercato del lavoro, all’avvento di migranti nel contesto nazionale e locale e alle risposte restrittive offerte dai governi nazionali e locali alle domande poste da simile evento”.

All-focus
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STANGA un quartiere raccontato dai suoi abitanti

Il libro è disponibile, con offerta libera, presso la libreria Pangea Via SS, Via S. Martino e Solferino, 106

Reportage di Gianni Belloni

Supervisione copertine Giandomenico Tono

Progetto grafico Richard Khoury

Laboratorio fotografico Mara Scampoli

Foto della serata Mara Scampoli



Fotografie di alunne/i della classe IIIA (a.s. 2018 – 2019) della Scuola Secondaria I grado Pacinotti di Padova

Alberto Dalla Libera
Andrei Ene
Angelo Osto
Blessing Nkwocha
Davide Castoro
Erry Curtis
Ezra Lee Manalo
Giulia Gallo
Giuliio Yang
Ion Drumea
Kevin Kolci
Khadija Harir
Kibedi Muvumbi
Mariam Elbanna
Matteo Zoccarato
Mouhib Euchi
Natalia Weligama
Safa Eddalaaoui
Salova Akrache
Sayon Doumbia
Sharon Onoigboria



Elaborazione grafica delle copertine eseguite per la Alternanza Scuola Lavoro Liceo Artistico Statale “Amedeo Modigliani” di Padova

Ayham Ben Abdallah
Clara Ferrara
Elisa Bergamo
Erica Toffanin
Giacomo Regazzo
Giorgia Ferrucci
Sabrina Cantarajiu
Sara Cristiano

Istituto di Istruzione Superiore “Pietro Scalcerle” di Padova
Alessia Zamburlin
Camilla Conti

Liceo Artistico Statale “Pietro Selvatico” di Padova
Carlotta Bellucco

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