Stefanel, le cinque cose da sapere

TREVISO. Stefanel è stata ammessa nei giorni scorsi dal Tribunale di Treviso al concordato in bianco. La ristrutturazione passerà attraverso «un articolato utilizzo degli ammortizzatori sociali per una razionalizzazione delle attività svolte nella sede centrale e nel territorio nazionale» in cui opera il gruppo di abbigliamento. A rischio la metà dei lavoratori del gruppo. La sede storica di Ponte di Piave verrà ridotta ad un ufficio commerciale, poiché la produzione verrà totalmente esternalizzata.
Ecco le cinque cose da sapere dello storico gruppo di abbigliamento veneto.

1) Il Maglificio Piave
Nel 1959, esattamente sessanta anni fa, Carlo Stefanel fonda la sua azienda. È l’embrione della futura Stefanel che nelle mani del trentenne figlio Giuseppe (quello che diverrà l’istrionico Bepi) diverrà un marchio affermato del Made Italy, simbolo dello slancio economico del Nordest italiano. Di lui un ritratto bellissimo lo offre il nostro Daniele Ferrazza, in un pezzo di qualche anno fa, in cui racconta l’eccitante ascesa di questo imprenditore veneto purosangue. Ostinato, appassionato della sua azienda nella quale ha continuato a credere fino al momento in cui ha dovuto gettare la spugna.

2) Bepi Stefanel, le sfide di un cacciatore
Se una capacità va riconosciuta a Bepi Stefanel, scrive Ferrazza, è quella di avere sette vite più una, la sua. Uomo di grandi relazioni e amicizie, Stefanel ha fatto della sua vita una sfida continua. Amico di banchieri, teste coronate e campioni dello sport, paura di niente e di nessuno, Bepi - sposato con Titti e padre di Eleonora e Carlo – è uno straordinario venditore di se stesso e delle sue imprese. A poco più di trent'anni prende la guida del piccolo Maglificio Piave creato dal padre Carlo e lo trasforma in una delle aziende più innovative e glamour del sistema moda italiano: capi bellissimi, non troppo costosi, negozi monomarca in ogni città, indossati dalle più straordinarie modelle del mondo, soprattutto fatti bene.
A Ponte di Piave dicevano: fatti meglio. Il confronto con la maglieria Benetton è stato, per almeno vent'anni, il carburante più efficiente della crescita dell'azienda Stefanel. Benetton apriva negozi nelle più prestigiose location e lui inaugurava dall'altra parte della strada; Benetton costruiva una nuova fabbrica e lui ne faceva una più grande; Benetton si faceva la squadra di pallacanestro e lui ne comprava un'altra (Trieste prima, l'Olimpia Milano poi, che portò allo scudetto nel 1996); a Ponzano compravano stazioni e aeroporti e lui comprava una catena di duty free; Benetton andava in Borsa e lui pure; Benetton entrava nel gotha finanziario e lui si faceva nominare nel consiglio di amministrazione della Comit. Il «sorpasso», naturalmente, non c'è mai stato.

3) La magliera resa glamour: Gisele Bündchen
È il 2008 e si tenta la svolta glamour, la maglieria Stefanel è fatta bene, di alta qualità, bisogna alzare il tiro, scegliere l’emergente lusso accessibile. E allora se bisogna elevarsi bisogna cambiare i negozi, migliorare il prodotto e soprattutto serve il volto che attragga le consumatrici. Il modello aspirazionale. Si sceglie la più bella di tutte, la più pagata, la più esposta mediaticamente: è il momento di Gisele Bündchen. Ma quella promessa del marketing, l’oceano blu che tutti cercavano, il lusso accessibile, non riesce a contrastare la crisi economica che esploderà da lì a poco. Non varrà più nessuna regola, ce la fanno i grandi gruppi, ma Stefanel non ha la stazza per sopportare un errore strategico. È l’inizio di una fine irreversibile.

4) Santel, il timoniere giusto sulla barca sbagliata
Luciano Santel è uno dei top manager che ha fatto la Stefanel. Ha seguito l’aumento di capitale monstre per guidarne il rilancio. Avrebbe potuto cambiare le sorti del marchio? Probabilmente sì, forse se Bepi avesse scelto di cedere il controllo dell’azienda, magari confluendo in un grande gruppo multinazionale. Magari accettando la corte di un fondo di private equity.
C’era la fila fuori da Ponte di Piave per prendersi Stefanel, ma non sarebbe più stata la Stefanel di Bepi. Santel arriva da Geox, è un manager pazzesco, ha visione, conosce il prodotto, conosce la moda, conosce il retail. Se ne andrà per diventare uno dei top manager di Moncler, e l’ad di Industries, la manifattura del gruppo del piumino più chic del mondo che sorge a Trebaseleghe, nel padovano.

5) Arrivano i fondi. Ma è troppo tardi
«Impossibilità di esprimere un giudizio» per i pericoli relativi alla «continuità aziendale». È questa la fine di Stefanel, ed è datata 2016. Dopo due aumenti di capitale garantiti dalla famiglia, da Bepi per la precisione, mentre la sorella Giovanna uscirà nel 2010, la vendita del retail aeroportuale con la quota di Nuance, il debito è ricomparso. Il modello di Stefanel drena risorse, incapace di produrre valore. In totale l’azienda deve restituire 85 milioni di euro agli istituti di credito (a fine 2015 le banche reclamavano 82,2 milioni), ma una buona fetta dell’esposizione è riconducibile anche ai «fornitori»: gli esperti di E&Y parlano di «ammontare significativo».
È finita, Bepi deve arrendersi. La bandiera bianca è il concordato che verrà presentato a novembre del 2016. Stefanel accetta di andare in minoranza e così fanno il loro ingresso i fondi Oxy e Attestor a riacciuffare il gruppo dal baratro del fallimento, ma il loro piano, dopo un anno, si rivelerà insufficiente. Tutto non si può salvare. Stefanel verrà ridotta probabilmentead azienda commerciale, il marchio è l’asset di maggior valore. Quel marchio che però significava maglieria. Quella fatta meglio.
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