“Storia di un comunista” Negri, il cattivo maestro

Esce il libro dell’ideologo e leader di Autonomia Operaia
Di Nicolò Menniti Ippolito

di NICOLÒMENNITI IPPOLITO

È una autobiografia, ma una autobiografia in cui il privato – come si diceva una volta – diventa politico. E certo nulla è rinnegato, neppure quel passo famoso “Tutte le volte che mi calo il passamontagna ..” che è diventato un atto di accusa giudiziario. Arrivato a 82 anni Toni Negri ha scritto il racconto della sua vita, o almeno della prima parte della sua vita, perché il libro termina il 7 aprile del 1979, quando la polizia bussa a casa sua per arrestarlo. Poi un finale che lascia pensare ad un secondo capitolo «Ho resistito e lottato tutta la vita. Si ricomincia da qui».

“Storia di un comunista” (Ponte alle Grazie, p.610, 18 euro) comincia con le storie familiari di quello che diventerà negli anni Ottanta il “cattivo maestro” per antonomasia. All’origine una madre vedova, forte, coraggiosa, protettiva. E un bambino semi autistico – racconta lui – che è circondato da lutti e sucidi. C’è una ferita fondamentale che interroga anche la politica, la morte del fratello Enrico, il fratello più grande, che a 17 anni si arruola nell’esercito di Salò e poco dopo muore suicida – dice l’ufficialità fascista – per non cadere nelle mani dei rossi. Un eroe fascista, dicono alla famiglia.

Toni Negri si interroga sulla scelta del fratello, che rimane per lui in qualche modo incomprensibile, perché il nonno era un vecchio comunista e il padre, morto giovanissimo e forse non senza colpe dell’olio di ricino, era comunque un antifascista dichiarato ed attivo. Sullo sfondo c’è la fine di quella che Toni Negri chiama la guerra dei trent’anni, la guerra contro il proletariato che si allunga dalla prima alla seconda guerra mondiale.

A guerra finita, Toni Negri, studente modello, si diploma al Tito Livio e intanto si avvicina al mondo cattolico. L’Azione Cattolica è il suo punto di riferimento, anche per la sua natura ibrida, in cui l’impegno religioso si affianca ad una determinazione in campo sociale, che non sembra poi così lontana dal socialismo. Toni Negri racconta anche i viaggi in Europa, la scoperta di Parigi e l’improvviso aprirsi del giovane chiuso e problematico dell’adolescenza. Sempre magro e secco, come è tutt’ora, diventa un personaggio pubblico: vicesegretario della Federazione Universitaria Cattolica di Padova, presidente del gruppo sociale della Azione Cattolica, molto legato – come dice lui – allo storico vescovo Bortignon.

Ma da questo nucleo cattolico un po’ alla volta Toni Negri si stacca, specie quando i suoi punti di riferimento dell’Azione Cattolica, a cominciare dal presidente Mario Rossi, vengono brutalmente estromessi perché accusati di andare un po’ troppo a sinistra, De Gasperi («Era stato un brav’uomo») è morto.

Ed ecco la svolta, prima verso il pensiero laico e il Movimento federalista europeo, poi l’avvicinamento al Psi dove diventa vicesegretario della federazione di Padova. Quello che racconta Toni Negri è per molti versi un viaggio politico comune a una generazione intellettuale, semmai lo scarto personale arriva dopo il ’68, in quei dieci anni che segneranno nel profondo la sua vita.

L’avventura operaista era cominciata nei primi anni sessanta, poi Potere Operaio, poi Autonomia fino a quel “passamontagna” che ancora oggi divide: «Un capitolo delirante dal punto di vista retorico» dice oggi «ma solido nelle argomentazioni, malgrado sia stato considerato in termini volgarmente destituenti».

E quanto al teorema Calogero, il libro lo rifiuta in poche righe: complotto politico, piuttosto, per affossare un movimento che il Pci non poteva tollerare.

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