Sulle pareti della Cappella degli Scrovegni va in scena il teatro delle emozioni
PADOVA. Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto (AP 6, 14), recita un passo dell’Apocalisse di Giovanni, e, nella parete alta dell’affresco del “Giudizio Universale”, Giotto pone ai lati due angeli che arrotolano il cielo, simboli della fine del tempo umano (quel cielo da una parte blu, come la volta reale) e dell’inizio di quello divino (dall’altra parte il colore è rosso come quello dell’Amore di Dio).
La storia giunge al termine. Si chiude il sipario. Alle spalle degli angeli si scorge la distesa aurea della Gerusalemme celeste. Quell’oro, tripudio nei mosaici bizantini, era da sempre negli occhi e nella testa di Giotto. Una tradizione, quella del mosaico, che si fa esplicita ispirazione nella stessa composizione del “Giudizio Universale”, se lo si pone a confronto con il mosaico veneto-bizantino della basilica minore di Santa Maria Assunta a Torcello (VII e XII secolo) a Venezia, e con il mosaico di Coppo di Marcovaldo, del 1260, al Battistero di San Giovanni a Firenze. Interessanti, nelle tre opere, le forti similitudini fra i vari Luciferi che divorano i dannati su fiumi infernali.
Ma da quella tradizione, mai rinnegata, Giotto s’allontana. Il modello bizantino viene “coperto” dalla realtà. Il “teatro”, che sceglie il pittore del Mugello è la vita reale, così come fece Dante nella sua Divina Commedia. Così le vicende di Maria e Gesù, rappresentate in una serie di sequenze lungo le pareti della Cappella, in cui ci si immerge (visione elicoidale) affresco dopo affresco, hanno, insieme a loro come protagonisti, donne e uomini in vesti trecentesche.
I sentimenti si fanno espressione nei volti: la sofferenza (La strage degli innocenti; la lacrima sul volto della donna), la rabbia (Cacciata dei mercanti dal tempio; il pugno alzato di Gesù), l’amore (Incontro alla Porta d’Oro; il bacio di Gioacchino e Anna), il tradimento (Bacio di Giuda). È rivoluzione. È l’umanizzazione del sacro.
Per entrare, ancor più, nelle scene, Giotto va oltre. I volti, sottolineati da contorni, acquisiscono profondità; le figure prendono forma in modo plastico, grazie alla loro collocazione nello spazio. Le avanguardie scientifiche, che poteva respirare nella Padova del Trecento (il cuore “anatomico” della sua Carità, fra i Vizi e le Virtù, lo conferma), e gli studi ottici del tempo, conducono il pittore a un uso della prospettiva empirica stupefacente: è l’alba del Rinascimento.
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