Tangente per la sede Arpav condannati Cappadona e Bertani

La tentata concussione c’è stata, hanno cercato di pilotare l’indagine di mercato in merito alla scelta della nuova sede dell’Arpav al Net Center, offrendo una tangente da 300 mila euro. L’ex capo della polizia giudiziaria della procura, il maresciallo dei carabinieri Franco Cappadona è stato condannato a 4 anni, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’imprenditore e titolare del Net Center, Mauro Bertani ha preso 2 anni e 6 mesi (per lui c’era pure l’accusa di istigazione alla corruzione), oltre all’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
La sentenza è stata letta ieri alle 18.43 dal presidente del collegio giudicante, Alessandro Apostoli Cappello. Dopo la sentenza Cappadona se ne è subito andato assieme al suo legale (l’avvocato Roberto Boev che sostituiva il collega Calderone di Barcellona Pozzo di Gotto), mentre Bertani (con moglie e figlia) si è fermato qualche minuto in più assieme al difensore Paola Rubini.
Il giudice ha deciso che i due imputati devono risarcire la parte civile, ossia l’avvocato Andrea Drago, per una somma di 15 mila euro, mentre solo Bertani di altri 5 mila. La richiesta era molto più alta: 1,3 milioni di euro. I due dovranno inoltre versare a Drago (assistito dall’avvocato Giovanni Chiello) 8 mila euro di spese legali.
La sentenza di ieri è senza dubbio una vittoria per il pubblico ministero Federica Baccaglini. Un risultato non paragonabile alla condanna per un processo “qualsiasi”. Perché questo, appunto, non lo era. Il magistrato ha dedicato molto tempo e molte energie a questa inchiesta, con gli occhi puntati dei colleghi magistrati, degli avvocato e dell’intero mondo che ruota attorno alla giustizia padovana. Il pm si è trovato infatti ad indagare su un carabiniere al quale, per molti anni - e non solo lei- , ha delegato indagini delicate e importanti. Baccaglini aveva chiesto 4 anni e 6 mesi per Cappadona e 3 anni e 9 mesi per Bertani; le pene sono state solo limate dal collegio giudicante.
La giornata di ieri si era aperta con l’arringa dell’avvocato Rubini: il legale aveva sostenuto che il capo d’imputazione non era stato provato dai fatti. E che al massimo per quella gara c’era stato «un caldeggiamento fastidioso». «Nessuna prova che Bertani sapesse della tentata concussione, al massimo ci troviamo di fronte ad una tentata induzione indebita». Il pubblico ministero ha risposto a lei e agli altri legali in modo perentorio. «La minaccia di Cappadona non doveva di certo essere con la pistola, da una persona influente e temuta come lui, bastava uno sguardo, un cenno. È stato mortificante» ha sottolineato il magistrato «sentire qui in aula come molti testimoni avessero paura della procura, che vedevano rappresentata proprio da Cappadona». L’indagine ora è chiusa se consideriamo che pochi giorni fa c’è stata la sentenza d’appello per l’avvocato Giorgio Fornasiero: pena ridotta in appello a un anno e 8 mesi con la sospensione condizionale, dopo la condanna in primo grado a due anni e sei mesi. Quel che è emerso dalla sfilza di udienze e dall’esame di decine di testimoni, è il ruolo svolto da Cappadona. Un carabiniere a cui interessavano molti fatti che esulavano dal suo ruolo. Soprattutto appalti.
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