Tangenti Mose, nuova stangata per Chisso: dovrà pagare 5,3 milioni ai veneti

VENEZIA. Tangenti del Mose, nuova stangata per l’ex assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso.
Dopo il patteggiamento a 2 anni 6 mesi e 20 giorni con una confisca di 2 milioni di euro decisi dal tribunale di Venezia, è arrivata ora la sentenza della Corte dei Conti. Che ha condannato l’ex amministratore a pagare ai cittadini del Veneto 5 milioni 376 mila 156 euro e 42 centesimi a titolo di danno di immagine e di disservizio causati alla Regione.
Il collegio presieduto dal giudice Guido Carlino ha accolto pressoché in toto le richieste del pm contabile, il viceprocuratore generale Mariapaola Daino, che nell’udienza dello scorso luglio aveva sostenuto come «la società silente degli onesti reclama una risposta. La reclamano i suicidi di tanti imprenditori veneti, la reclama l’economia di un territorio che era traino d’Italia».
La risposta invocata è arrivata con il deposito del provvedimento della Corte che impone a Chisso il versamento di 4 milioni 820 mila euro per i danni all’immagine del Veneto e di 556.156 euro per il disservizio, vale a dire la spesa inutilmente sostenuta dall’amministrazione per remunerare un dipendente infedele.
Infedele in quanto, secondo il giudice, l’ex assessore «asservendo la propria funzione ad attività di carattere corruttivo, ha rotto il sinallagma che lo legava all’amministrazione regionale così rendendo di fatto priva di giustificazione parte della spesa sostenuta per le remunerazioni ricevute».
Per la magistratura contabile, Chisso ha incassato le tangenti del Mose secondo tre diverse modalità: attraverso un para-stipendio (250 mila euro all’anno per 9 anni), attraverso pagamenti episodici ma regolari e infine con versamenti emergenziali legati a singoli problemi da risolvere.
Ad accusarlo non solo l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, ma anche l’ex ad della Mantovani Piergiorgio Baita e l’ex ad di Adria Infrastrutture Claudia Minutillo.
Tutti soggetti ritenuti attendibili dalla Corte, nonostante la difesa rappresentata dallo studio legale Forza avesse contestato proprio l’affidabilità delle loro dichiarazioni. E i legali avevano altresì messo in dubbio il valore confessorio della sentenza di patteggiamento in quanto l’ex amministratore vi avrebbe fatto ricorso per ragioni di salute anziché di colpevolezza. Una tesi non condivisa dal giudice secondo cui le condizioni di Chisso non peggiorarono durante la carcerazione preventiva e lo stato di salute era tale «da non destare alcun pericolo».
Di qui la condanna a 5,3 milioni di euro, una cifra di poco inferiore a quella chiesta all’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan di 5,8 milioni di euro. D’altra parte, secondo Minutillo, Chisso costituiva «la figura chiave presso la Regione, in grado di condizionare qualsiasi procedura relativa ai lavori sul Mose».
Arrivata dunque la sentenza della magistratura contabile, la Regione potrà ora procedere all’incasso. Qui però sta il punto, perché il presunto tesoro dell’ex assessore non è stato mai (o non ancora) trovato.
Insomma non ci sono soldi, né proprietà su cui avviare azioni esecutive a differenza di quanto avvenuto per Galan nei cui confronti sono scattati pignoramenti e ipoteche con azione recuperatoria affidata all’Agenzia delle Entrate.
Chisso ha sempre sostenuto che nulla è stato trovato perché nulla c’era da trovare. La Procura ordinaria di Venezia non ha mai smesso di cercare.
E continua senza sosta l’offensiva della Corte dei Conti e della sua Procura guidata dal magistrato Paolo Evangelista, nei confronti dei protagonisti del Mose.
Ammonta a 37 milioni il danno erariale complessivo contestato non solo a Galan e Chisso, ma anche all’ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, all’ex giudice contabile Vittorio Giuseppone, al funzionario Enzo Casarin. E a luglio è scattato un maxi-sequestro da 21 milioni di euro nei confronti di Mazzacurati.
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