The Iceman: il killer di ghiaccio uccide per lavoro ma soprattutto per passione

Richard Kuklinski è un uomo di origine polacca, schivo e taciturno. Ogni tanto la sua mente fa un clic e si accende di una rabbia cieca, di una ferocia sanguinaria che lo porta a uccidere con freddezza, senza il minimo senso di colpa. Clic: un morto. Clic: un altro morto. Clic, clic, clic, centinaia di morti. Kuklinski diventa uno dei killer americani più “prolifici” della recente storia criminale: alla sua vicenda di sicario implacabile è dedicato il film di Ariel Wromen, “The Iceman”, fuori concorso. Soprannominato l’uomo di ghiaccio per la sua scrupolosa determinazione nel portare a termine le missioni omicide al soldo della mafia del New Jersey tra gli anni ’60 e ’70, Kuklinski, interpretato da Michael Shannon (nella foto in alto)- molto a suo agio nei ruoli di disturbato mentale - riesce a conciliare “lavoro” e famiglia per quasi quarant’anni. Sposato con Deborah (Wynona Ryder), due figlie, il killer ha un codice d’onore: non ammazza donne e bambini e vive per rendere felice la sua famiglia. Anche se questo vuol dire accoltellare, avvelenare, sgozzare, segare e congelare corpi. Quasi anestetizzato dalla violenza, che ha le sue origini in una infanzia di calci e pugni sferrati al padre, Kuklinski sogna casa e giardino ad Atlantic City. E quando non può più uccidere perché scaricato dal suo boss (Ray Liotta), si inventa libero professionista, accettando ogni incarico che possa consentirgli di pagare la caparra dell’immobile che vuole regalare alla sua famiglia. Verrà catturato dalla polizia e morirà in carcere nel 2006 in circostanza sospette. Leggendo la storia del vero Kuklinski, che, si dice, amasse veder soffrire le proprie vittime, filmandole mentre le faceva mangiare dai topi, l’ “Iceman” del film sembra quasi una vittima da compatire, in un mondo, quello della malavita del Jersey, dove essere mercenario e premere per primo il grilletto assicurava la sopravvivenza. Decisamente ambiguo nel messaggio quasi assolutorio e poco originale nella messa in scena “The Iceman” si nutre di tanti clichè del genere: atmosfere anni ’70, baffoni e occhiali a goccia, padrini di origine sicula che decretano vita e morte, con un certo compiacimento per le sequenze di macelleria umana. Una ulteriore declinazione sul tema della banalità del male di cui non sentivamo la mancanza.
Marco Contino
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