Thiene: "Il primo trapianto di cuore, un momento folgorante"

Padova, l'ex primario di Anatomia patologica era a fianco del professor Gallucci: "Un uomo di grandissima statura morale"
Il professor Gallucci con Ilario Lazzari
Il professor Gallucci con Ilario Lazzari

In mostra a Padova il cuore del primo trapianto in Italia

PADOVA. «Il cuore di Lazzari e il primo trapianto» è il titolo della conferenza in programma il 18 maggio a Palazzo Cavalli. Conferenza organizzata dal nostro giornale insieme al centro d’ateneo per i musei (Cam) nell’ambito della rassegna “I tesori dell’università” e ormai esaurita da tempo.

Relatore d’eccezione sarà Gaetano Thiene, professore emerito di anatomia patologica. Allievo di Vincenzo Galucci, è divenuto a sua volta punto di riferimento della Scuola di Patologia Cardiovascolare. Ha all'attivo ricerche di prim'ordine nel campo della patologia cardiovascolare.

Thiene racconterà il primo trapianto di cuore eseguito in Italia (novembre 1985) mentre in esposizione, fuori dalla Sala della caccia, ci sarà proprio il cuore di Ilario Lazzari, conserivato al Museo di Anatomia patologica del Dipartimento di Scienze cardiologiche, toraciche e vascolari.

Il professor Thiene, relatore d'eccezione
Il professor Thiene, relatore d'eccezione


Il proofessor Thiene ci riceve nel suo studio, con un sorriso aperto e cordiale.

Lei è stato protagonista e primo testimone del primo trapianto di cuore avvenuto in Italia, la notte del 14 novembre del 1985 da parte della équipe del professor Gallucci. Che sentimenti c'erano quella notte, che cosa si percepiva?

Si trattava del compimento di un progetto, partito molti anni prima, negli anni Settanta. L'obiettivo era quello di risolvere la cosiddetta malattia incurabile del cuore, lo scompenso cardiaco, la malattia maligna irrimediabilmente fatale. Il trapianto cardiaco si è rivelato un vero e proprio asso nella manica. Eseguire un trapianto equivale, di fatto a tagliare un nodo gordiano: quel cuore non funziona? Sostitusco. La grandezza di una persona come Gallucci sta anche nella forza di prendersi quella responsabilità. Detto questo, lei può immaginare l'impatto che ha avuto per un patologo l'avere in mano il cuore di un vivente.



Un cuore battente?

Si, un cuore ancora battente. Ed è molto toccante il momento che il battito cessa, con un fremito, una fibrillazione. Prima di allora il ruolo di un anatomopatologo è quello di possedere i libri della sapienza, l'enciclopedia del sapere e di trasmetterli perché un giorno eventualmente si possa curare e prevenire una malattia, invece in quel momento avevi la sensazione che il patologo era protagonista di vita.

Cambiava il suo ruolo...

Sì. Vedere l'istituto di anatomia patologica, quella notte, l'istituto dei morti, dove c'è il buio, illuminato a giorno... E’ stato il momento folgorante, in cui la patologia è entrata in campo in maniera decisiva. La cosa straordinaria è che attraverso lo studio diretto di un cuore di un vivente abbiamo riconosciuto malattie nuove.

C'è stata una ricaduta concreta.

Formidabile. La grande novità è stata quella di fare ricerche molecolari con tessuto fresco così abbondante, una grande occasione di studio di problemi che hanno carattere genetico.

Il problema del rigetto del nuovo organo è stato un problema rilevante...

Molto rilevante. La messa a punto della ciclosporina che blocca i linfociti cosiddetti del rigetto, ha capovolto il destino della prognosi di un paziente trapiantato.

Lazzari con la mamma dopo il trapianto di cuore
Lazzari con la mamma dopo il trapianto di cuore


Ci sono stati problemi di carattere etico?

Rilevanti. Si è trattato del problema della definizione di morte e cioè se la morte è quella cardiaca o quella celebrale. Tutti gli espianti vengono fatti da una persona morta cerebralmente, il cui cuore continua a battere. Si è trattato di una passaggio non da poco. Si pensi che il cuore è l'ultimo capitano che lascia la nave che sta affondando, è l'ultimo organo a fermarsi. Il cuore era considerato il sole. Ma poi il concetto di morte celebrale è stato accettato universalmente, anche dalla Chiesa.

Il fatto che il primo trapianto di cuore in Italia sia avvenuto a Padova è solo una suggestione o ha un senso?

Io credo che noi siamo strumenti della storia. Gallucci ha messo le premesse, ha lavorato molto per questo risultato, ma lo vediamo nei secoli che doveva succedere questo. A Padova abbiamo scoperto come è fatto il cuore, scoperto come avviene la circolazione del sangue, scoperto quali sono le malattie cardiache che portano alla morte. Era venuto il momento di trovare il marchingegno per sfidare la morte. Persone che soffrono di scompenso cardiaco, che non sono in grado di fare 2 o 3 passi perché gli manca il respiro letteralmente rinascono dopo il trapianto. Lei non ha idea vedere delle persone trapiantate che stanno benissimo. Non è stato un virtuosismo, ma un grande progresso della medicina.

Nelle sue conferenze lei racconta che la mattina successiva all'operazione, nel bar vicino all'ospedale, i proprietari, visto l'evento eccezionale che hanno appreso dai giornali, le offrono la colazione. Dà l'idea di una città che si è stretta attorno alla sua scuola di medicina.

Si è trattato di una partecipazione fortissima, ma non era una novità. Pensi che le autopsie che venivano fatte nel '500 nel teatro anatomico, ma ancora adesso è così, non era riservato agli addetti ai lavori ma era aperto alla città. Il patologo era il sacerdote di un rito, era uno spettacolo non nel senso di una curiosità morbosa, ma di una curiosità di sapere come funziona il nostro corpo. La città aveva confidenza e fiducia nei confronti di questa medicina moderna che stava nascendo e nutriva ammirazione.

Le sembra che questa ammirazione permanga?

Sicuramente. Il problema è che non sempre è compreso, dalle autorità sanitarie il valore del processo storico che c'è stato.

Non è stato tributato il riconoscimento dovuto per quell'evento?

Si è scatenata l'invidia perché quella del trapianto cardiaco è stato un momento di supremazia della chiriugia cardiovascolare rispetto alle altre chirurgie e la cosa ha dato abbastanza fastidio.

Che ricordo ha di Gallucci?

Credo che Gallucci possa essere considerati un equivalente di un Vesalio, di un Morgagni. Un gigante. Quando facemmo delle analisi sui possibili errori fatti nei primi interventi di trapianto ed emersero degli elementi che potevano essere oggetto di pubblicazione scientifiche, qualcuno domandò se fosse il caso di pubblicare delle cose negative. Gallucci fu irremovibile: "Prima di tutto la verità".

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