Tozzi, musica e rabbia «L’Italia non rispetta i suoi artisti: non ci sto»

Umberto Tozzi, torna sabato (inizio del concerto alle 21.30) al Gran Teatro Geox di Padova, con il suo “Yesterday… Today Tour”, che lo vedrà riproporre i suoi grandi successi come “Ti amo”, Gloria”, “Stella stai” e “Gli altri siamo noi”.
Umberto Tozzi, che tipo di spettacolo sarà quello che presenta al Geox?
«Sarà molto diverso da quello di due anni fa. Rispetto ad allora, ho aggiunto in scaletta delle canzoni che non cantavo più da tempo. Poi ci saranno tre brani inediti. Uno di questi “Andrea Song” lo canterò insieme alla cantante lirica Roberta Turri. Avrò ospite sul palcoe un amico che canterà due canzoni sue: è Yari Carrisi, figlio di Al Bano».
A Padova si è esibito due anni fa, ma era da tempo che non affrontava un tour vero e proprio in Italia. Che effetto le fa?
«Finora è stata una bella soddisfazione, il pubblico ha risposto alla grande e abbiamo dovuto aggiungere anche delle date».
Quando pubblicherà un nuovo disco?
«Io continuo a scrivere delle cose, però oggi è un momento in cui onestamente i dischi se li fai, li fai per te. Se vuoi fare un album te lo pubblicano, ma il mercato discografico è inesistente. Non c’è più niente che faccia in modo che il prodotto venga distribuito e ascoltato».
E le radio?
«Onestamente mi sono anche un po’ stufato di sentire quello che passa nelle radio importanti italiane. Credo che solo in Italia possa succedere che non passino più nelle programmazioni artisti come noi, che nel mondo abbiamo fatto delle cose importanti: è una cosa vergognosa. Io non ci sto più. Le radio oggi passano solo Vasco Rossi e Ligabue ma chi sono? Lennon e McCartney? E non me ne sono accorto? Strano».
In Italia ci si dimentica facilmente dei propri artisti del passato?
«Negli altri paesi, i grandi artisti anche se di una certa età continuano a essere rispettati, ad esempio i Rolling Stones in Inghilterra e Charles Aznavour in Francia. Da noi è uno schifo. Dopo che è mancato Mango, oggi si sono accorti che ha fatto delle belle canzoni. Non è possibile che uno debba morire perché gli altri si accorgano che ha fatto qualcosa. Questa è una delle ragioni per cui io non so se pubblicherò mai più qualcosa, perché tanto non serve a nulla».
I testi dei suoi primi successi si basavano sull’uso ripetitivo delle parole del titolo (“Ti amo” e “Tu”), come è nata questa scelta?
«Io e Giancarlo Bigazzi che è stato il mio maestro e il mio coautore, abbiamo sempre cercato di fare delle canzoni diverse da quelle che si sentivano nel panorama italiano. Avendo una cultura musicale più anglosassone che italiana, le mie metriche sono particolari. Ho sempre voluto avere nelle mie canzoni delle parole con molto suono perché questa è una delle cose che apprezzavo nelle canzoni dei Beatles».
È stata importante la sua gavetta giovanile come chitarrista?
«Molto. Sono stati anni bellissimi, in cui ho conosciuto Lucio Battisti e tanti altri personaggi. Era un’epoca meravigliosa in cui si suonava per poche lire ma con tanta passione e poi c’era veramente un fermento incredibile. Alla Numero Uno, l’etichetta di Battisti e Mogol, lavoravo come turnista e c’erano anche Eugenio Finardi e Gianna Nannini e altri personaggi che ne hanno fatta di strada. Oggi, non ci sono più luoghi di ritrovo del genere, dove far nascere i talenti. Non parliamo neanche dei reality “canterecci” perché sono vergognosi anche se c’è gente che canta bene. Ma non c’è nessuno che scriva le proprie canzoni e non c’è spazio per la creatività».
Lei ha scritto due successi storici con Raf ( “Si può dare di più” e “Gente di mare”), Tornerete a collaborare?
«No, perché gli artisti italiani sono molto diversi da me. Io amo dividere il palco con gli altri artisti. Invece, ai miei colleghi sembra che queste cose diano fastidio».
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