Tragedia dell'Antonov, il ricordo dei familiari delle vittime padovane

PADOVA. Quattro famiglie padovane rievocano quella tragedia dopo vent’anni. Erano mariti e padri che andavano a Timisoara per lavoro. Ne parlano le mogli e i figli di Giorgio Zago, Ottorino Pandin, Franco Mazzolin e Otildo Morello morti sul volo Banat Air 166 la sera del 13 dicembre 1995.

Sono passati vent’anni da quel lampo che si è portato via la vita di suo marito, ma Graziella Marconato, moglie di Franco Mazzolin di Campodarsego, lo ricorda bene. «Ero in macchina con mio figlio Walter, che allora aveva 9 anni, e stavo uscendo dall’aeroporto di Verona dopo aver accompagnato mio marito a prendere quell’Antonov quando vedemmo un bagliore improvviso nel cielo», racconta la donna, oggi sessantenne, «“mamma un lampo”, mi disse Walter. Abbiamo saputo solo in nottata quello che era veramente successo e che non avremmo mai più rivisto Franco». Graziella Marconato ha ancora bene impresse le ultime parole che le rivolse il marito: «Quando arrivo ti chiamo, e cerca di non correre come me. Franco non voleva partire per la Romania, dove aveva avviato con nostro figlio maggiore una tipografia tuttora in attività. Lui tornava a casa tutte le settimane e poi ripartiva. Ma quella volta gli avevano detto che non sarebbe tornato in Romania con l’aereo con il quale era arrivato, un aereo grande con 150 posti, ma che ci sarebbe stato un Antonov. Lui aveva paura di quel velivolo, ci aveva viaggiato e lo riteneva non sicuro. Ma poche ore prima improvvisamente cambiò idea a facemmo tutto in fretta per non perdere il volo. Arrivammo a Verona appena in tempo e riuscì a salire su quell’aereo dove morì». Oggi Graziella Marconato è impegnata nel volontariato sociale e in parrocchia, i sei figli sono tutti sistemati e l’azienda romena è gestita dal figlio maggiore che vive in quel Paese.

«Ci mancherà sempre, era un uomo generoso, che preferiva dare che ricevere, di grande umanità». È il ricordo di Lisa una dei figli di Ottorino Pandin, l’imprenditore di Fontaniva dell’Ovattificio Valpadana, azienda del gruppo Peruzzo, morto nella sciagura aerea. Oltre Lisa, lasciò la moglie Antonia e gli altri due figli Dino e Leda.
Oggi i suoi cari preferiscono il silenzio, la ferita è ancora aperta e resta forte il senso di una mancanza, di una vita che doveva continuare: «Abbiamo sempre preferito mantenere il silenzio e stringerci nel nostro dolore». Un uomo dalle virtù preziose: «Ci ha insegnato che è meglio agire più che tanto parlare, che il rispetto e la fiducia altrui si ottiene solo operando per il bene comune».

Otildo Morello era uno stimato falegname di Casale di Scodosia. Nel 1956 l’imprenditore artigiano aveva cominciato la sua decennale storia di maestria e artigianato, la vera eredità lasciata ai figli. Con lui era nata la Fratelli Morello, divenuta poi la Morello Gianluca srl. Azienda, questa, che proprio sugli insegnamenti di Otildo e con i figli Gianluca, Nico e Mimmo (un altro è invece morto prematuramente) è cresciuta fino a diventare una della realtà più solide del territorio, acquisendo nel 2007 anche l’importante marchio Bakokko. «Non c’era miglior eredità che potesse lasciare se non l’arte del legno e la sua professionalità», ricorda ancora oggi qualcuno in paese.
Giorgio Zago era un elettricista che abitava con la famiglia a Padova in via Guido Reni, all'Arcella. Era un valente elettricista che lavorava per una ditta d'impianti. Abitava con la moglie Luisa Ceccato e le due figlie, Alessandra, di 18 anni e Paola, 21, che, oggi hanno, rispettivamente, 38 e 41 anni. Nella casa dove l’elettricista abitava, una villetta bifamiliare, in vendita da 5 anni, non c’è più nessuno perché le figlie si sono trasferite altrove. Di Zago ne ha un ricordo vivo il ragioniere pensionato Orazio Marcon: «Giorgio era un lavoratore instancabile e molto legato alla famiglia. Aveva la madre disabile e si prendeva cura di lei».
Testimonianze raccolte da: Giusy Andreoli, Silvia Bergamin, Nicola Cesaro e Felice Paduano
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