Tragica rapina, padovano fra i 5 indagati

Le rivelazioni di un pentito riaprono l’inchiesta sul colpo con 2 morti. Giostraio di Busiago sott’accusa per omicidio volontario
CAMPO SAN MARTINO. Dopo più di vent’anni, si riapre uno dei gialli mai risolti della storia criminale italiana. Una rapina a un orafo finita nel sangue a Suzzara (Mn), nel dicembre del 1996, con due morti. La procura di Mantova, in base alle dichiarazioni rese da un componente di una famiglia di giostrai, estraneo ai fatti ma che li conosceva alla perfezione, ha indagato per omicidio volontario in concorso cinque giostrai, quattro vicentini e uno di Busiago di Campo San Martino.


«Alla mia età mi mancano la forza e la memoria», ha commentato la madre dell’orafo mantovano ucciso, Velia Magotti, oggi 95enne, «spero solo che venga fatta giustizia e si trovi la verità sulla morte di mio figlio». Sono Danilo Dori, 54 anni, considerato l’ideatore e organizzatore del colpo; Gionata Floriani, 40 anni, di Busiago di Campo San Martino, secondo i carabinieri autista del commando e primo bandito a presentarsi in oreficeria, a volto scoperto come un cliente qualsiasi; Stefano Dori, 47 anni, il bandito che, armato di pistola e con il passamontagna calato sul volto, sarebbe entrato alle spalle di Floriani per scavalcare il bancone e raccogliere i preziosi (sarebbe lui, secondo la ricostruzione del pentito, ad aver sparato e colpito a morte Gabriele Mora); Adriano Dori, 44 anni, che avrebbe a sua volta partecipato alla sparatoria in negozio; e infine Giancarlo Dori, 52 anni, considerato il palo, il bandito che, armato di fucile a canne mozze faceva la posta davanti al negozio e che coprì la fuga ai complici. L’ultimo componente del gruppo criminale era Rudy Casagrande, giostraio veronese di 24 anni, spogliato di documenti e oggetti che potevano identificarlo e scaricato senza vita vicino all’ospedale di Thiene (Vi). La tragica rapina si verificarono nell’oreficeria Mora di Suzzara poco prima delle 18 del 19 dicembre 1996. L’orafo Gabriele Mora, 41 anni, si trovava nel retrobottega. Una volta accortosi dell'irruzione dei rapinatori nel negozio, afferrò la sua pistola regolarmente detenuta e sparò contro uno dei banditi, ma venne a sua volta colpito al torace da un proiettile. Non è chiaro chi sparò per primo, ma la tentata rapina si concluse con la morte dell’orefice davanti agli occhi della moglie Susanna e con la fuga del commando a bordo di una Volvo station wagon di colore blu. Secondo le ricostruzioni, i banditi scapparono prima in direzione di Pegognaga, poi lungo l’autostrada del Brennero, la Serenissima quindi la Valdastico.


Dopo aver scaricato il cadavere di Casagrande davanti all’ospedale Boldrini di Thiene i rapinatori proseguirono la fuga nel Vicentino. La Volvo, che era stata rubata nel Padovano, venne data alle fiamme intorno alle 20 a Caldogno (Vi), nel cortile di una casa in costruzione. Lì ad attendere i rapinatori c’erano probabilmente altri complici. Le indagini del tempo si concentrarono fin da subito nell’ambiente dei giostrai del Veneto e del Vicentino. Qualche tempo dopo finì in manette un nomade di Camposampiero, Romes Zolini, ma poi emerse la sua estraneità ai fatti. A far riaprire il caso, a inizio 2017, sono state le dichiarazioni di un pentito, un giostraio che al tempo dell’assalto di Suzzara abitava nel campo nomadi di viale Diaz a Vicenza. Il procuratore di Mantova Manuela Fasolato ha chiesto per due volte l’arresto di Adriano, Danilo, Giancarlo, Stefano Dori e Gionata Floriani per l’omicidio dell’orafo suzzarese. Ma in entrambe le occasioni i giudici hanno detto no. I gravi indizi di colpevolezza ci sono, ma secondo il giudice per le indagini preliminari Matteo Grimaldi e il tribunale del riesame di Brescia mancano i presupposti per limitare la libertà personale.


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