Tumore al rene, l’eccellenza a Schiavonia

MONSELICE. Otto minuti di intervento, nessuna cicatrice, un’anestesia minima, un ricovero di appena tre giorni e soprattutto il 98,7% di guarigioni.
Oggi il tumore al rene si cura anche così, grazie alla rimozione mediante termoablazione. Ieri mattina, all’ospedale “Madre Teresa” di Schiavonia, si è tenuto il 154esimo trattamento in appena otto anni, numero che vede Schiavonia e l’Usl 17 addirittura al primo posto in Europa come casistica di un singolo ospedale. Merito dell’Unità operativa di Epatologia diagnostica e interventistica diretta dal dottor Mauro Mazzucco e appoggiata dalla dottoressa Lucia Leone, dal dottor Antonino Calabrò e dal dottor Bortolo Perin, rispettivamente direttori della Medicina generale, dell’Uoc di Urologia e dell’Uoc di Radiologia. L’operazione e il traguardo raggiunto dal polo di Schiavonia hanno attirato ieri anche la presenza del commissario dell’Usl 17 Domenico Scibetta, che ha definito «la specializzazione del trattamento del tumore renale mediante termoablazione come eccellenza per il quale il nostro ospedale rappresenta davvero un punto di riferimento a livello nazionale».
Il principio alla base di questa metodica è all’avanguardia: con la termoablazione non si asportano i tessuti compromessi dal tumore, ma si sfrutta il calore prodotto da onde elettromagnetiche per “bruciare” con assoluta precisione le cellule malate, lasciando ovviamente intatte quelle circostanti. Da qui l’assenza di anestesia generale e di cicatrici, ma anche la riduzione dei costi e delle degenze.
E poi c’è l’efficacia: «La nostra esperienza su pazienti con tumore renale fino a 4 cm e poi controllati per un tempo medio di 4 anni dimostra l’estrema efficacia del trattamento, con una percentuale di guarigione superiore al 98%» conferma Mazzucco «Normalmente si tende ancora a utilizzare questo approccio limitatamente ai pazienti non operabili, ma su queste basi ritengo che questo tipo di interventi possa essere considerato oggi quale primo approccio, lasciando la chirurgia a quei casi in cui la termoablazione non è indicata».
Il trattamento di ieri, a testimonianza di ciò, ha visto protagonista un settantenne senza particolari patologie, con un tumore di 3,2 cm trattato con un ago da 2,2 mm e 70 watt di potenza: «Se la lesione è entro i 4 cm la probabilità di eliminazione completa è attorno al 90-95%, mentre la percentuale scende gradualmente all’aumentare del dimatro del tumore».
E’ questo il fattore che incide maggiormente nella scelta dei pazienti da trattare tramite termoablazione; da considerare ci sono poi il numero di noduli e la sede del tumore. L’Usl 17 arriva peraltro da un’esperienza consolidata nell’utilizzo della termoablazione per i tumori del fegato, utilizzata nella Bassa dal 1998 e che ad oggi conta oltre mille interventi eseguiti sempre dalla stessa equipe aziendale.
«Uno dei pregi fondamentali di questo trattamento è l’impatto minimo sulla qualità di vita del paziente» sottolinea Calabrò «e per questo stiamo lavorando per utilizzare la termoablazione come strumento di terapia efficace anche per lesioni localizzate in altri organi, ad esempio per le patologie prostatiche o per le metastasi ossee». L’eccellenza dell’Usl 17 in quest’ambito ha ottenuto qualche settimana fa un riconoscimento notevole: a Milano all’Iosfc 2016 – un convegno internazionale di oncologia interventistica al quale hanno partecipato oltre 400 specialisti – su 70 elaborati presentati il lavoro dell’equipe di Schiavonia è stato premiato come il migliore da una commissione composta da sei tra i più importanti esperti mondiali di termoablazione.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova