Tutti in coda per la protesi al Sant'Antonio: un anno di lista d’attesa
PADOVA. Interventi di protesi all’anca, al ginocchio e alla spalla: boom di richieste al reparto di ortopedia dell’Ospedale Sant’Antonio di Padova. Ogni mese l’operazione è richiesta da almeno cinquanta persone, in coda sono in quasi milleduecento. Per sottoporsi all’intervento chirurgico si rischia di aspettare fino ad un anno. L’alto numero di richieste è spiegato dai risultati di sei anni di attività all’insegna dell’innovazione e dall’allungamento dell’età media. Sono sempre di più le persone colpite da patologie degenerative e infiammatorie croniche alle articolazioni che desiderano riconquistare la libertà di movimento e l’assenza di dolore. E così a 60 anni non ci si arrende ai primi acciacchi della vecchiaia ma ci si opera, magari anche per ricominciare a fare sport.
«È in corso un grosso cambiamento culturale», spiega Sergio Candiotto, primario del reparto di ortopedia dell’ospedale Sant’Antonio di Padova, «C’è stato un abbassamento dell’età media delle persone che si rivolgono ai chirurghi per sottoporsi a interventi di protesi. Oggi un cinquantenne che ha una grave artrosi vuole emanciparsi e non accetta di subire la malattia. Anche per questo motivo abbiamo notato l’aumento di accessi alla soluzione chirurgica. C’è l’esigenza di arrivare ad avere l’articolazione libera dal dolore e utile alle funzioni anche sportive». Ogni anno sono circa 1.700 gli interventi eseguiti, di questi oltre 600 sono di protesi.
Ad oggi la lista d’attesa conta circa 1.200 pazienti e in 700 attendono di sottoporsi a un intervento di protesi all’anca, alla spalla o al ginocchio. Insomma la mole di richieste, che arriva anche da fuori regione, corrisponde circa a un anno di lavoro. L’équipe del reparto conta 13 medici. Il reparto tratta chirurgicamente anche i traumi dello scheletro e si occupa di chirurgia ricostruttiva della spalla, del ginocchio e della caviglia. «Abbiamo lavorato molto sull’affinamento dell’équipe medica e sulla capacità operativa del gruppo infermieristico che rappresenta nella moderna concezione ospedaliera la vera base organizzativa», sostiene Candiotto. Al paziente è offerta l’ultima frontiera della chirurgia mini invasiva: basta un taglio lungo circa sei centimetri e l’intervento di protesi è fatto.
«Così ci sono minori perdite ematiche, minori trasfusioni di sangue, diminuisce il dolore post operatorio e il tempo di ricovero ospedaliero ottenendo una più rapida ripresa funzionale. Alla fine anche il costo della procedura è inferiore». In media una protesi innestata dura 12 anni e la maggior parte dei pazienti operati ottiene risultati clinici positivi. «Il mio modello ideale è un ospedale senza paura a cui il cittadino possa rivolgersi con fiducia. Ogni mattina io visito tutti i malati e cerco il loro sguardo per dare serenità. Il malato è un’entità composita fatta di anima, di cuore, aspettative e paure. Per me l’aspetto più difficile da risolvere è proprio la paura ma ogni giorno mi impegno per annullarla. In sei anni di direzione ho visto l’immagine del reparto trasformarsi radicalmente ma la strada è lunga e in evoluzione. Pur utilizzando la disponibilità della nostra amministrazione, molto aperta e disponibile alle nostre esigenze, abbiamo bisogno di espanderci per dare un riferimento ancora più stabile alla città», conclude Candiotto.
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