Ultimi fiori del bagolaro morente

Il gigante malato, verrà abbattuto. L’Università: «Rischia il crollo»
Di Aldo Comello
TOME' - BAGOLARO VIA DEL SANTO
TOME' - BAGOLARO VIA DEL SANTO

In via del Santo, nel giardino del dipartimento di Scienze economiche intitolato a Marco Fanno, cresce un monumentale esemplare di Celtis australis, un poderoso Bagolaro schiacciasassi dal tronco color ardesia che si dimezza in due corni. È condannato a morte, sentenza inappellabile che sarà eseguita quanto prima perché il rischio che tonnellate di tronchi si abbattano sull’edificio che abbraccia il giardino è rilevante.

La forza vitale degli alberi è commovente perché questo gigante malato, corroso all’interno da una carie che l’ha svuotato del midollo, in questi giorni ha messo su una lanugine verde, migliaia di boccioli, embrioni di foglie, che aspettano di schiudersi al sole. Ciò fa venire in mente un albero sacro che cresce in Sudamerica: fiorisce una sola volta nello spazio di un secolo, si copre di grandi fiori d’oro e poi muore, stremato dalla fatica di vivere. Ma il bagolaro non sa che sta per morire, il cielo è sempre lo stesso, la vicinanza di una magnolia comincia ad aromatizzare l’aria, difficile da immaginare il ronzio micidiale della sega elettrica.

Un tecnico della facoltà di Agricoltura, Luigi Sani, su incarico dell’amministrazione universitaria ha inviato una relazione sul Bagolaro che si chiude così: «I dati raccolti denunciano una situazione drammaticamente critica. La statica della pianta è compromessa e c’è la possibilità che una folata di vento la faccia crollare».

A questo punto, anche se è un peccato, anche se l’albero a primavera ospita uccelli, lucertole, insetti, tutto un mondo che resterà spaesato, nessuno vorrà combattere per salvarlo. Resta da capire come mai questo anziano affetto da un male incurabile trovi la forza di vestirsi di verde per celebrare l’arrivo della primavera. Ma il nostro è un bagolaro schiacciasassi, ha radici più forti delle spire di un boa constrictor o di un’anaconda, capaci di far saltare la pavimentazione di una piazza, di scardinare una porta blindata. La potenza dell’apparato radicale riesce ancora a succhiare nutrimento dal terreno. Ma non c’è modo per salvarlo? La relazione dell’esperto che è della fine dell’anno scorso, lascia poco spazio alla speranza.

Anni fa in piazza Capitaniato, una delle poche piazze alberate di Padova, che quasi sembra di essere a Parigi, furono effettuati interventi di dendrochirurgia alle Sofore giapponesi, alberi esotici, neri come serpenti. Alla base di alcuni si erano aperte profonde cavità, quasi delle grotte nel legno e i tecnici erano intervenuti togliendo da quelle ferite il legname marcito e rinsaldando quello ancora sano.

Certo, le Sophore sono più nobili dei bagolari, ma forse, come età, si equivalgono: gli alberi di piazza Capitaniato furono piantati al tempo di Napoleone e anche il nostro bagolaro gigante deve avere un paio di secoli. Quando il dipartimento di Scienze economiche si installò a palazzo Levi Cases, c’erano il bagolaro e la magnolia, ma non il giardino con l’aiuola centrale che fu realizzato successivamente.

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