Un batterio mortale in Cardiochirurgia sei vittime e decine di pazienti infetti

Un morto a Padova, 4 a Vicenza e uno a Treviso: veicolo del contagio è un macchinario, l’azienda consiglia la sanificazione



È un piccolo assassino che agisce silenzioso tra bisturi e camici bianchi. È il micobatterio Chimaera, diffuso in natura (in particolare nell’acqua potabile) e resistente agli antibiotici: un’indagine della sanità regionale gli attribuisce la morte di sei pazienti, e l’infezione di altri dodici – ma il numero di questi ultimi è destinato a lievitare notevolmente – operati nelle cardiochirurgie ospedaliere di Vicenza, Padova, Treviso e Verona.



I fatti risalgono all’ultimo triennio (tale è l’arco di incubazione del microrganismo) e la scia di decessi e contagi manifesta un denominatore comune: la presenza in sala operatoria di un macchinario utilizzato per regolare la temperatura del sangue nel degente e prodotto dall’azienda biomedicale Liva Nova (gruppo multinazionale Sorin) che lo esporta in mezzo mondo. Dopo i ripetuti allarmi legati a casi d’infezione diagnosticati in Europa e negli Stati Uniti, la stessa ditta – è notizia fresca di ieri – ha contattato le istituzioni sanitarie consigliando di sanificare la strumentazione attraverso il perossido d’azoto già impiegato per sterilizzare i colonscopi: una cautela tardiva che agli occhi degli investigatori ha forse il tenore di un’ammissione di colpa.



Sulla vicenda è in corso un’inchiesta della Procura vicentina, destinataria di un esposto dei familiari del medico anestesista Paolo Demo, infettatosi durante un impianto di valvole cardiache al San Bortolo e spirato a 66 anni lo scorso 2 novembre; circostanza che ha indotto i magistrati ad indagare due ex direttori sanitari dell’ospedale berico dove si sono registrate altre 3 morti sospette. Non solo Vicenza: anche il Ca’ Foncello di Treviso sconta un decesso, quello del pensionato Gianni De Lorenzi, e così l’Azienda ospedaliera di Padova.



Tant’è. I referti delle autopsie e la letteratura scientifica sull’argomento, hanno consentito di accertare le modalità del processo infettivo: il Chimaera si trasmette per via aerea, in forma di vapore, “prediligendo” i pazienti a cuore aperto. E i segnali d’allarme, si diceva, non sono mancati; il ministero della Salute ha richiesto alle Regioni un report decennale e la sanità del Veneto – correva il 2017 – ha istituito un gruppo di lavoro ad hoc le cui conclusioni sono diventate un decreto per volere del direttore Domenico Mantoan. Solo la prudenza di manager e chirurghi ha limitato il danno: Verona ha accantonato lo strumento; Vicenza – dopo averlo più volte sterilizzato – l’ha restituito al mittente. Non è tutto.



L’Angelo di Mestre, fa sapere il primario cardiochirurgo Domenico Mangino, già nel dicembre 2017 «ha sigillato completamente la macchina» e lo scorso ottobre ha provveduto a collocarla all’esterno della sala operatoria; risultato? «Tutti i pazienti che in questi anni si sono presentati con sintomi che avrebbero potuto essere ricondotti al Mycobacterium Chimaera sono stati visitati, in nessun caso è stata rilevata l’infezione, né alcun batterio di Chimaera è mai stato isolato».



Così, in attesa della relazione finale degli ispettori di Mantoan – che sarà trasmessa ai pubblici ministeri competenti e al governatore Zaia – la discussione ha animato la seduta della commissione sanità con il presidente leghista Fabrizio Boron lesto a esigere «chiarezza assoluta sulle responsabilità dei gravissimi fatti accaduti»; «Ma l’avviso di sicurezza del ministero risale al novembre 2016 e la sanità regionale ha diffuso un documento di indirizzo solo un mese fa. Che intende fare adesso la Regione per evitare nuovi contagi?», chiede il Pd per voce dei consiglieri Fracasso, Moretti, Pigozzo, Salemi e Sinigaglia. —



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