Un paese, una storia Le radici memorabili di ogni borgo padovano Ma il ricordo non basta

il bilancio
Francesco Jori
“La provincia padovana s’allarga da oriente ad occidente miglia geografiche 30 circa; si prolunga da mezzodì a settentrione circa 54; e, contenuta fra le province di Trevigi, Venezia, Rovigo, Verona e Vicenza, copre una superficie di 620 circa miglia quadrate, popolata da 299.011 o sia da 483 abitanti per ogni miglio quadrato”. Inizia così, con uno stile essenziale nel linguaggio quanto accurato nei numeri, una descrizione del Padovano formulata nel 1842, e contenuta in un’opera a più mani dedicata a un pubblico decisamente di riguardo: i partecipanti alla quarta riunione degli scienziati italiani, che quell’anno faceva tappa a Padova. Era il 14 settembre, e il volume intendeva illustrare agli illustri ospiti le peculiarità e le bellezze di una provincia dotata dalla natura e dalla storia di tanti pregi e testimonianze. Tant’è che subito dopo le prime righe asettiche sopra citate, il testo prosegue: “Due città (Montagnana ed Este, dotate della qualifica appunto di “città”: ndr), alcune castella e parecchie grosse borgate nobilitano il tenere di Padova… cinquecento e più chiese sono disseminate nella provincia, e molte di queste si meritano qualche lode o per architettura o per dipinture”.
LE PECULIARITÀ
Il viaggio intrapreso un paio d’anni fa per il mattino di Padova, e che oggi si conclude, testimonia come quasi due secoli dopo questo territorio conservi molte delle peculiarità che la contraddistinguevano allora. Molte, non tutte: perché quello che Andrea Zanzotto ha definito con magistrale immagine un “progresso scorsoio”, ha inferto non lievi danni all’ambiente. Ma al di là dei limiti del presente, del resto comuni all’intero Veneto, anzi in altre province ancor più vistosi, i ritratti che abbiamo proposto in queste pagine consentono di trarne una nitida immagine d’insieme: la trama di una storia lunga, densa, esemplare. Non c’è comune, per quanto piccolo, che non abbia svelato di sé vicende umane e ambientali, personaggi illustri o che comunque hanno lasciato il segno, aneddoti e curiosità di vario genere, testimonianze architettoniche di grande rilievo o anche modeste, ma in ogni caso degne di nota. Toni Cibotto, grande cantore polesano del Veneto che fu, e che era di casa nella Bassa padovana specie a Monselice, amava questi territori, e sapeva trarre anche dalle località minime storie affascinanti e suggestivi racconti.
radici antiche
Certo, non ci si può autoisolare nel ricordo e nel rimpianto dei bei giorni andati: questi sono i tempi in cui ci è dato vivere, e bisogna riempirli di significato. Ma il viaggio proposto dal mattino non aveva affatto questo intento: l’obiettivo, semmai, era quello di risvegliare l’orgoglio identitario per radici remote e ricche di linfa anche nei borghi più piccoli. Soprattutto in una fase storica segnata dalla globalizzazione, la riscoperta del locale diventa strategica: non per rinchiudersi tra le proprie quattro mura, inalberando il presuntuoso quanto sterile vessillo del “prima io” o “prima noi”; ma per ancorarsi alle proprie radici e saper vivere con consapevolezza in un tempo in cui l’apertura è la regola, e il confronto tra diversi è ricchezza. Molti lettori hanno gradito questo viaggio alla riscoperta di stessi e dei propri luoghi; e ce ne hanno dato testimonianza. E questo ci conforta, in una stagione in cui dilaga la tendenza a rimuovere il passato: senza il quale, inutile illudersi, non c’è futuro possibile.
fenomeni da gestire
E tuttavia, l’itinerario che abbiamo insieme affrontato non poteva ridursi a ciò che era: doveva necessariamente includere ciò che è e ciò che sarà. In questo senso, c’è una criticità che emerge più di ogni altra, ed è l’esigenza di mettere mano a una gestione del territorio radicalmente diversa, agganciandola alle caratteristiche di una società e di una terra in rapida trasformazione.
Ci sono fenomeni che non possono venire ridotti alla stretta dimensione provinciale, tanto meno a quella comunale. Per limitarci a pochi ma significativi esempi, l’inquinamento dell’aria non si ferma ai cartelli di confine dei singoli territori; la mobilità va ben oltre a quella tra paese e paese, tra provincia e provincia; il trattamento dei rifiuti non può limitarsi al cortile di casa; le infrastrutture, materiali e immateriali, non possono avere il respiro corto del municipalismo, neppure del regionalismo. L’immigrazione, soprattutto, ha cambiato pelle alla geografia umana dei nostri luoghi: se un tempo si diceva “tutto il mondo è paese”, oggi bisogna non solo correggere ma capovolgere la frase, girandola in “ogni paese è il mondo”.
confini superati
Purtroppo, le risposte che diamo sono ancora parziali e riduttive. Un solo ma fondamentale esempio: non hanno più senso, oggi, confini comunali al cui interno vivono poche centinaia di abitanti, e che tuttavia mantengono la bandierina sul municipio. Ma le aggregazioni fin qui tentate sono poche, e non tutte riuscite. E la stessa esperienza delle unioni di comuni si è rivelata fallimentare: perfino la sola che aveva ottenuto risultati esemplari, quella del Camposampierese, si sta squagliando come i ghiacciai alpini. Ma se per questi ultimi la colpa è del cambiamento del clima, qui accade il contrario: il limite sta nel volersi tenere agganciati al vecchio clima che ha caratterizzato per secoli il Veneto della diaspora, ognuno per sé e tutti contro tutti, che ha finito per attribuire alla regione il marchio della terra dei campanili.
Non necessariamente un’immagine negativa: in fondo, se i campanili servono per salirvi in cima, da lassù si riesce ad avere una visione ampia e coerente del paesaggio. Ma se li si usa per rifugiarsi alla loro ombra, impauriti del cambiamento, ci si condanna da soli a una progressiva emarginazione. Perché la realtà cambia comunque sotto i nostri occhi, indipendentemente dalle nostre gracili volontà. Il “piccolo mondo antico” se ne è andato per sempre. Si può anche non accorgersene. Ma ci si riduce a naufraghi.
(102, fine)
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