Unipd, la presidente degli studenti: «Trasporti gratis e scuola di rispetto»

Paola Maria Bonomo, fino al 2026 sarà alla guida del Consiglio degli studenti del Bo. Esponente Udu, racconta l’ateneo tra i nodi del diritto allo studio e le tematiche di genere

Costanza Francesconi
Paola Maria Bonomo, 21 anni, presiede il Consiglio degli studenti dell’università di Padova (foto Bianchi)
Paola Maria Bonomo, 21 anni, presiede il Consiglio degli studenti dell’università di Padova (foto Bianchi)

Trasporti gratuiti, corsi su affettività e uso del linguaggio obbligatori per studenti, docenti e personale tecnico amministrativo («perché la parola è il primo anticorpo al propagarsi della violenza, anche di genere»), e una più ampia rete di servizi allo studente, a cominciare dall’aumento dei posti letto disponibili negli studentati cittadini.

Bonomo, rappresentante degli studenti Unipd: "Residenze, mense, trasporti: ecco i nodi da risolvere"

Ha 21 anni la neoeletta presidente del Consiglio degli studenti e delle studentesse dell’Università di Padova, Paola Maria Bonomo. Il suo mandato biennale scade a fine 2026, e le cose da fare sono molte.

Alcune nel solco di quanto avviato in precedenza da Emma Ruzzon, presidente uscente, come Bonomo cresciuta politicamente nelle fila del sindacato studentesco Unione degli universitari, l’Udu.

Presidente, quali sono i nodi più urgenti da sciogliere in tema di diritto allo studio?

«Partiamo dal trasporto pubblico locale. Ha costi importanti da sostenere per la comunità universitaria padovana, soprattutto fuori sede. Il dialogo aperto con l’ateneo mira, d’intesa con Regione e Comune, a renderlo gratuito per gli studenti, sia sulle linee urbane che extraurbane. Perché non immaginare Padova capofila di un biglietto unico regionale per studenti? Poi c’è il tema casa».

A tal proposito, quali sono criticità e ipotesi di soluzione?

«Siamo tra i centri con i canoni d’affitto più cari d’Italia secondo gli ultimi report. Come deterrente al caro casa e annesse truffe nel privato, Udu e Comune hanno avviato lo Sportello affitti ma la risposta degli studentati a gestione Esu non è sufficiente».

Quale svolta servirebbe?

«L’apertura di almeno una nuova residenza Esu in città, con stanze in locazione a prezzi calmierati, e di una mensa universitaria, entrambe punti su cui stiamo interloquendo con l’ente regionale per il diritto allo studio universitario. Anche le aule studio non accolgono la quantità crescente di iscritti al Bo».

Non rassicura l’imminente inaugurazione dell’hub di Ingegneria con i suoi ampi spazi a disposizione?

«Non in modo definitivo. La proposta avanzata all’Esu è che, d’ora in avanti, qualsiasi mensa possa essere fruita come aula studio fuori orario di pasto».

Anche gli studenti, come cittadini fuori sede, potranno votare nei referendum dell’8 e 9 giugno: un traguardo?

«A metà. Lo abbiamo chiesto con forza e ottenuto, ma quello al voto (anche da remoto) è un diritto costituzionale che dovrebbe essere garantito sempre, e non dipendere da manovre occasionali».

Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin il dibattito nazionale sul contrasto alla violenza di genere si è fatto dirompente, al Bo in particolare. Abbastanza?

«Sicuramente, anche grazie alla comunità studentesca che dopo quel tragico 11 novembre 2023 ha sentito subito l’urgenza di riunirsi e parlarne, l’ateneo padovano è diventato un faro in Italia. Dopo la lettera aperta alla rettrice Daniela Mapelli, in università dibattere sul fenomeno e combatterlo è stata una priorità, tant’è che a maggio scorso è nato nel plesso di Padova lo sportello di primo ascolto Università Responsabile, per studenti, docenti e personale tecnico amministrativo. Ora, però, quel supporto andrebbe esteso alle sedi succursali e comunicato di più e meglio tra le opportunità realizzate per il benessere della popolazione universitaria».

Altri progetti in vista?

«La proposta, già avanzata alla governance di ateneo, è di articolare corsi obbligatori di formazione su affettività, uso del linguaggio, consenso, a iscritti, professori, collaboratori».

Rispetto alle tante questioni sul tavolo, com’è il rapporto con i vertici?

«Ora le frizioni sono poche, c’è apertura, anche per volersi conoscere meglio: i maggiori organi studenteschi hanno appena cambiato rappresentanze».

Riforma della scuola: cosa ne pensa?

«Il ministro all’Istruzione Giuseppe Valditara non ha parlato di finanziamenti, la cosa più importante, né coinvolto in fase di elaborazione gli studenti. Di fatto cambia i piani di studio... La trovo povera, non strutturale».

E a lui, quanto al mondo accademico, lei cosa avrebbe chiesto?

«L’Università ha un ruolo fondamentale nell’educare cittadini e cittadine di domani, anche se si rivolge a una platea ristretta di studenti. Eppure pecca fin dalle modalità di accesso all’istruzione».

Anche a Padova?

«Come può un’università ritenersi davvero accessibile se una persona in sedia a rotelle non può nemmeno fisicamente entrare in tutti i suoi luoghi? Sede per sede, stiamo mappando le problematiche in materia. Altro esempio è l’ingresso riformato a Medicina che, molto probabilmente, porterà ad avere meno medici sul territorio di quanti ne servirebbero. Poi c’è la questione del linguaggio di genere…».

Si spieghi meglio.

«Un obiettivo è superare il binarismo del linguaggio di genere, sia colloquiale che nelle comunicazioni istituzionali».

Ci faccia qualche esempio.

«Uso dello schwa, la “ə”, nelle mail, del nome di elezione per le carriere alias o di un linguaggio comunque neutro che non faccia sentire alcuno discriminato. A cascata, introduzione di bagni genderless. Padova potrebbe creare un modello per gli atenei italiani. Si sono fatti passi in avanti ma non abbastanza per il mondo che ci immaginiamo, per l’università che ci immaginiamo».

E com’è quest’università?

«Accessibile, sicura, libera. Tutelata e tutelante, soprattutto per le persone che la attraversano, e che voglia lasciare la propria impronta».

Come vive il fatto di rappresentare la comunità studentesca dopo Emma Ruzzon?

«Siamo amiche di là del testimone passato di mano. Ho grande stima nei suoi confronti e voglia di fare altrettanto bene. Non c’è rottura rispetto ai temi e ai modi di analizzarli a partire da momenti associativi costanti: non è stata Emma in sé, come non sarò io, a prevalere sul servizio e ascolto della comunità studentesca. Il timore c’è ma in rapporto al ruolo e alla rilevanza che ha ottenuto, dentro e fuori dall’università. Su questo Emma ha avuto un ruolo cardine».

Quale battaglia le sta personalmente più a cuore?

«Come persona all’interno della comunità Queer, sicuramente la promozione di un linguaggio sicuro, non violento, che rispetti la totalità delle persone».

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova