Vajont, 50 anni dopo la denuncia della figlia di un notaio: «Frana programmata»

Francesca Chiarelli, figlia del professionista Isidoro, racconta di una conversazione tra i dirigenti della Sade avvenuta nello studio del padre: «Era tutto studiato. Quando lo denunciammo ci isolarono»

BELLUNO. «Facciamolo il 9 ottobre, verso le 9-10 di sera. Saranno tutti davanti alla tivù e non ci disturberanno, non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la popolazione? Per carità. Non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto le prove a Nove, le onde saranno alte al massimo 30 metri, non accadrà niente e comunque per quei quattro montanari in giro per i boschi non è il caso di preoccuparsi troppo». Questa conversazione tra i dirigenti della Sade, la società proprietaria della diga del Vajont, che sarebbe avvenuta nell'ufficio di Longarone del notaio Isidoro Chiarelli, nel corso di un atto relativo all'acquisto di un terreno.

A rivelarlo è Francesca, la figlia minore del professionista, scomparso nel 2004. A Chiarelli sarebbe stato dato anche un avvertimento: «lei ha un segreto professionale da rispettare, altrimenti se ne pentirà». Un segreto, aggiunge la sorella Silvia, docente universitaria a Padova, che alla famiglia costò l'isolamento dalla Belluno che conta. «Ma nostro padre - precisa - anche se per quasi due anni non lavorò più, schivato da tutti, non smise mai di farsi testimone di quelle parole. Per questo ebbe molti problemi, pressioni e minacce. Il suo grande cruccio fu quello di non essere mai creduto, nemmeno nella sua veste “certificante” di notaio». Le due sorelle snocciolano altri terribili ricordi: «la sera del disastro programmato mio padre ci fece stare pronti. Eravamo vestiti di tutto punto, pronti a scappare». Per il notaio Chiarelli di tutto si poteva parlare meno di una disgrazia. «Nostro padre - puntualizzano le figlie - lo chiamava eccidio».

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