Vajont, carte processuali perizie e testimonianze La tragedia si svela sul web

di GIORGIO CECCHETTI
I processi diventano storia quando i faldoni, i documenti, passano dai bui e spesso fatiscenti magazzini dei Tribunali all’Archivio di Stato.
La legge impone che questo possa accadere solo dopo 40 anni dalla conclusione del procedimento giudiziario. E per la tragedia del Vajont (quasi duemila morti, centinaia di feriti e tre paesi distrutti da una forza d’impatto pari a due bombe atomiche allora si scrisse), ben 160 mila documenti (per l’esattezza 250 faldoni) sono a disposizione da nove mesi. Sono già consultabili presso l’Archivio di Stato di Belluno. Un progetto di cui è responsabile Maurizio Reberschack e che ha preso avvio ben prima del marzo 2011, data in cui è scaduto il vincolo di riservatezza imposto dalle norme. Un lavoro, appoggiato dalla Fondazione Vajont e dai Comuni di Longarone e Castellavazzo in accordo con l’amministrazione archivistica statale.
E l’Archivio di Stato di Belluno, proprio in questi giorni , ha presentato i primi risultati del lavoro iniziato due anni fa al XV Salone dei beni culturali di Venezia. C’è l’inventario analitico dei 160 mila documenti, i registri, vale a dire i riassunti di quelli particolarmente importanti; c’è anche la riproduzione digitale di una percentuale del fondo processuale, utile per il sito web che tra due mesi consentirà di mettere a disposizione di tutti il frutto dell’intero progetto «Archivio diffuso del Vajont».
Ma non ci sono soltanto le carte processuali, seppur si tratta del fondo più esteso e presumibilmente più importante, perché è stata raccolta anche la documentazione che riguarda la tragedia del Vajont ripescata dagli atti del Senato e della Camera, dei ministeri degli Interni e del Lavori Pubblici, dell’Edison e dell’Enel, delle Prefetture coinvolte, ma anche gli archivi privati dei consulenti tecnici come gli ingegneri Augusto Ghetti ed Edoardo Semenza, degli avvocati Giorgio Tosi di Padova, Sandro Canestrini di Trento e Odoardo Ascari, dei giornalisti tra i quali le carte di Tina Merlin che seguì sia la cronaca della tragedia sia il processo per «l’Unità».
E leggendo le carte si intuisce la straordinarietà non solo di quella tragedia ma anche di tutto ciò che accadde dopo, quando anche la legge si piegò.
Spuntano, ad esempio, gli atti della costruzione dei «modellini» della diga e dell’onda nei laboratori francesi di Nancy, modellini utilizzati per ricostruire la dinamica dell’evento. E poi si possono leggere i verbali firmati dall’anatomopatologo di Lubiana al quale le autorità italiane avevano dovuto ricorrere perché nel 1963 era l’unico in grado di operare per il riconoscimento dei corpi. E, infine, dalle carte del processo emergono chiaramente tutti i tentativi – compreso quello riuscito di spostare il dibattimento da Belluno a L’Aquila per legittima suspicione – da parte di chi proteggeva i responsabili di allungare i tempi della giustizia, di procrastinare la sentenza finale.
La prima tappa del progetto, quella dedicata alla documentazione processuale, è pressoché completata con la schedatura analitica degli atti passati da Belluno al capoluogo dell’Abruzzo, procedimento che si è concluso con la sentenza definiva nel marzo 1971. Complesse le vicende processuali, ma anche quelle della documentazione: i 250 faldoni nel 2008 erano stati passati all’Archivio di Stato dell’Aquila dal Tribunale di quella città. E qui era cominciato il lavoro di riordino e sistemazione. Ma il terremoto del 6 aprile 2009 ha reso inagibile il Palazzo del Governo dove erano ospitati i faldoni, che con grande fatica sono state recuperati e spediti otto mesi dopo a Belluno, all’Archivio di Stato.
Il ritorno della documentazione processuale nella sua sede naturale ha assunto anche un forte significato civile: la realizzazione del progetto si è svolta nel luogo in cui è ancora viva e fortissima la memoria di quel disastro. Quelle carte sono indispensabili per ogni studio su quella tragedia, ma anche su come una regione, una nazione ha reagito al primo grande disastro dell’Italia repubblicana, su come ha funzionato la macchina giudiziaria.
Materia di studio per svariate discipline: la storia, il diritto, l’economia, la sociologia, l’ingegneria, la geologia, la medicina, la psicologia.
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