Valvole killer a Padova, la Regione aiuta i parenti delle vittime

L’assessore Lanzarin: «Mantenuta la promessa fatta ai familiari dei trapiantati»
Caterina Benvegnù, figlia della prima vittima, mostra la cartella
Caterina Benvegnù, figlia della prima vittima, mostra la cartella



PADOVA. Una serie di interventi a sostegno di quanti sono stati danneggiati dalle valvole cardiache difettose prodotte dalla ditta Tri Technologies e impiantate dall’Azienda ospedaliera di Padova quasi 20 anni fa. Lo stabilisce una delibera approvata ieri dalla Giunta regionale e firmata dall’assessore alla Sanità della Regione del Veneto Manuela Lanzarin.

Commissione

Sarà istituita una commissione tecnica, incaricata di esaminare i casi e riconoscere gli aventi diritto al ristoro, di cui verranno individuate priorità ed entità. Poi, con un provvedimento successivo, la Giunta regionale prenderà atto dei risultati dei lavori della commissione, aprendo la via alla ripartizione dei contributi dei quali sarà incaricata direttamente l’Azienda ospedaliera di Padova. «È stata mantenuta la promessa ai trapiantati e alle loro famiglie», ha detto l’assessore Lanzarin. «Pur essendo riconosciuto che i danni cagionati non sono assolutamente imputabili né all’Azienda ospedaliera né al servizio sanitario regionale ma ad altri soggetti non più perseguibili, la Regione ha ritenuto doveroso avviare una serie di procedure per garantirlo ai cittadini interessati perché si tratta, comunque, di danni sofferti ingiustamente».

Il caso

Il caso delle valvole killer finisce al centro di un’inchiesta penale ben 17 anni fa. Il 23 febbraio 2002 muore Antonio Benvegnù, 51 anni, operaio Telecom. Il 13 febbraio era stato operato nel centro cardiochirurgico “Gallucci” dell’Azienda ospedaliera di Padova: il direttore Dino Casarotto gli aveva impiantato una valvola cardiaca prodotta dalla brasiliana Tri Technologies. Si scopre che la morte è stata provocata dalla rottura dell’emidisco della protesi, come nel caso di Enzo Barbetta di Este che morirà il 24 agosto 2004. Le valvole facevano parte di una partita di protesi “sperimentali” impiantate sia a Torino che a Padova e viene accertato il pagamento di mazzette ai direttori dei rispettivi centri per far acquistare il prodotto. In primo grado il tribunale di Padova pronuncia una raffica di condanne. Sentenza azzerata dalla Corte d’appello e poi confermata in Cassazione. La Corte, dichiarando la prescrizione della corruzione, assolve gran parte degli imputati. Così l’Azienda ospedaliera rivuole il risarcimento liquidato dopo la sentenza di primo grado.

Le cartelle

«Le cartelle esattoriali per ora sono congelate. La segreteria della Lanzarin ci aveva detto che ci avrebbero dato una risposta entro marzo e invece non si sa ancora nulla», dice Margherita Sambin, vedova Benvegnù. «Io dovrei restituire 100 mila euro, mia figlia 93 mila euro, più 45 mila euro che sono andati all’avvocato. Questi soldi li abbiamo utilizzati per andare avanti nel processo», continua. «È dura vivere con questo pensiero, vorrei ci dessero una risposta e venisse definita la situazione». —
 

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