L’addio a Enrico Vanzini, sopravvissuto all’inferno di Dachau: «Da lui lezioni di umanità»
Folla al funerale dell'ultimo Sonderkommando italiano nella palestra di Santa Croce Bigolina. Aveva 102 anni e aveva rotto il silenzio dopo 60 anni dall’esperienza della deportazione
![L'ingresso del feretro di Enrico Vanzini (foto Piran)](https://images.mattinopadova.it/view/acePublic/alias/contentid/1h5xjcs48wtmjuyzw5m/0/copia-di-copy-of-nicola-piran-72-cesaro-fotopiran-cittadella-funerale-vanzini-santa-croce-bigolina.webp?f=16%3A9&w=840)
Nel silenzio carico di emozione, rotto solo dal brusio sommesso della folla, la palestra di Santa Croce Bigolina si è trasformata nel cuore pulsante di un addio che sa di memoria e gratitudine. Poco più di due anni fa, in quello stesso luogo, Enrico Vanzini aveva festeggiato il suo centesimo compleanno, circondato dall’affetto di una comunità che ieri pomeriggio si è stretta nel dolore.
Oltre 500 persone hanno voluto rendergli omaggio, perché la sua voce, capace di trasformare l’orrore in insegnamento, non venga dimenticata. Sul feretro, un cuscino di rose bianche e rosse. Accanto, la bandiera della sua amata Inter e il foulard tricolore dell’associazione nazionale ex internati nei lager nazisti.
Simboli che raccontano un uomo che ha attraversato il buio della storia senza lasciarsi consumare dall’odio. Fuori, una lunga fila di labari e gonfaloni: Provincia, Comuni, associazioni combattentistiche, Croce Rossa, carabinieri, ex internati. Uno schieramento solenne che non è semplice protocollo, ma un segno tangibile di riconoscenza.
Perché Enrico Vanzini è stato più di un testimone: è stato coscienza viva, memoria parlante, monito contro l’indifferenza. All’interno dell’impianto sportivo, la cerimonia è stata officiata da don Ettore Simioni, insieme a don Roberto Calderaro e don Federico Meneghel, accompagnati dal coro parrocchiale. In prima fila, il sindaco di Cittadella Luca Pierobon e il primo cittadino di Fagnano Olona, Marco Baroffio, paese natale di Vanzini. Con loro, rappresentanti delle istituzioni civili e militari, a testimoniare come la storia di quest’uomo abbia lasciato un segno profondo non solo nella sua comunità, ma nel Paese intero.
Dopo la lettura del passo del Vangelo di Matteo sulle Beatitudini, don Ettore ha rivolto parole cariche di significato: «Oggi siamo qui per salutare Enrico, per dire grazie a chi ha lasciato un’impronta indelebile nelle vite di tanti. La sua voce è stata strumento di conoscenza e di consapevolezza, il suo esempio una luce che ha guidato e continuerà a guidare». Poi, con un riferimento al coraggio di Cristo nell’affrontare la croce, il sacerdote ha sottolineato l’importanza di pensare in modo diverso, di mantenere viva la speranza, di non permettere che il passato si dissolva nell’oblio.
Enrico Vanzini – mancato a 102 anni – è stato molto più di un testimone: è stato un uomo che ha trasformato il dolore in insegnamento. Nato a Fagnano Olona nel 1922, sposato con Romilda, padre di Ildo e Rodolfo, nonno e bisnonno affettuoso, ha sempre vissuto con uno spirito aperto e generoso. La sua passione per il disegno, il tifo per l’Inter, la gioia di stare in compagnia raccontano un uomo che, nonostante le atrocità vissute, non ha mai ceduto all’odio.
Deportato a Dachau, sopravvissuto all’inferno della prigionia, ha scelto di rompere il silenzio solo dopo sessant’anni, nel 2005, mettendosi al servizio della memoria collettiva, parlando soprattutto ai giovani, affinché il sacrificio di tanti non fosse dimenticato.
Il consigliere comunale Luca Pavan ha ricordato il suo impatto sulle nuove generazioni: «Le sue non erano semplici lezioni di storia, ma di umanità. Parlava di pace, di rispetto, della fragilità della libertà. Il suo sorriso resterà per sempre nei nostri cuori, così come il suo insegnamento». Parole simili sono risuonate nel discorso del sindaco Baroffio, che ha voluto ringraziare pubblicamente la famiglia per aver sostenuto il cammino di testimonianza di Enrico: «La sua forza è stata anche la vostra, il suo coraggio il vostro coraggio. Grazie per aver reso possibile il racconto della memoria».
Un rappresentante degli ex internati ha voluto sottolineare quanto Vanzini fosse un simbolo di unità e condivisione: «Ha vissuto portando dentro di sé il dolore della prigionia, ma senza mai lasciarsi sopraffare dall’odio. La sua è stata una missione di vita, un impegno che non si è mai affievolito». Anche l’associazione nazionale fanti ha reso omaggio al suo instancabile operato: «Ha donato se stesso per far sì che l’orrore dei lager non venisse dimenticato. La sua voce è stata una bussola morale per tanti».
Dopo la preghiera dell’ex internato e la benedizione, il feretro è stato accompagnato al cimitero della frazione, dove Enrico Vanzini riposa ora accanto alla sua amata Romilda. Ma il suo ricordo resta, incancellabile, in chi lo ha conosciuto e in chi, attraverso le sue parole, ha imparato che la memoria è un dovere.
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