Veleni a medicina legale a Padova, esposto anonimo contro la prof Favretto

PADOVA. «La vicenda parla da sola... è apparentemente anonima». Medicina legale Parte tre, ma forse “to be continued” ovvero “alla prossima puntata”. Poche le parole pronunciate dalla professoressa Donata Favretto per liquidare storie e controstorie di veleni e vendette.
Prima è finita sotto accusa una consulenza privata su un caso di doping “eseguita senza autorizzazione... somministrando antitumorali a volontari sani con effetti collaterali”. Ora a distanza di pochi giorni l’atto d’accusa si moltiplica con un altro esposto. E anche in questo caso nessuna firma e l’invio alla stampa oltreché al sito unipd tramite il sistema del whistleblowing, la segnalazione di condotte illecite che avviene attraverso un applicativo destinato a garantire l’anonimato della fonte.
Il contesto
La replica è affidata a un comunicato dei suoi legali di fiducia, comunicato numero due dopo il primo conseguente al precedente esposto. Medicina legale a Padova è sempre stato un “porto” tutt’altro che tranquillo.
E fin dai tempi della guida del professor Santo Davide Ferrara, amato e odiato, finito anche lui sotto la graticola della procura, condannato poi assolto, ora in pensione con una schiera di allievi distribuiti fra vari atenei italiani.
Tra questi il professor Massimo Montisci, ex direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina legale e tossicologia forense dell’Azienda ospedaliera di Padova (si è autosospeso qualche settimana fa), pure lui amato e odiato, prima uno dei massimi esperti nel suo campo poi inciampato in un esposto (firmato da due colleghe, le professoresse Snenghi e Favretto e da una dipendente) e ora al centro di tre inchieste concluse la richiesta di rinvio a giudizio.
Il caso Favretto
Adesso è toccato alla professoressa Favretto responsabile del laboratorio di Tossicologia forense che fa parte del Dipartimento di Sanità Pubblica. Che cosa racconta il secondo esposto a una settimana di distanza dal primo trasmesso alla piattaforma che fa capo al responsabile per la trasparenza dell’Ateneo? Racconta che il personale docente può svolgere consulenze private in base a un tariffario. Che quando ha un incarico (da un privato o dal tribunale) deve essere autorizzato dall’ateneo a svolgere il lavoro al di fuori dell’orario di servizio.
Ancora, racconta che, se “il prof” usa laboratorio e attrezzature, deve far contabilizzare il tutto dal servizio amministrativo chiamato a presentare il conto e a farsi saldare. Insomma il docente paga e si fa rimborsare dal cliente. Poi l’atto-d’accusa: sono elencate una serie di fatture che sarebbero state richieste dalla professoressa tra il 2016 e il 2018 con tanto di protocollo e numero reperti esaminati (si tratta di analisi su droga) e poi un’altra serie di fatture non richieste: avrebbero totalizzato un ammanco per le casse universitarie le prime di 750 euro (sarebbero stati indicati un minor numero di reperti rispetto a quelli esaminati) e le seconde di 4350 euro. Il primo esposto faceva riferimento a uno studio farmacologico effettuato somministrando un farmaco antitumorale a volontari sani senza autorizzazione di Ateneo e Comitato etico (svolto da Favretto nella veste di consulente della tennista Sara Errani sospettata di doping e poi assolta).
I legali
Ennesime accuse infondate ribattono i legali della docente, gli avvocati Leonardo Maran e Lucio Zarantonello di Vicenza che replicano al passo del Vangelo citato nell’esposto menzionando il caso giudiziario di cui è al centro il professor Montisci (tre inchieste con accuse di falso, depistaggio e truffa). «Ormai è nota l’identità di chi muove queste accuse calunniose e diffamatorie... La replica spontanea si rinviene in una altrettanto nota frase del Vangelo di Matteo, per rispondere a tono: “Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo?”. Donata Favretto si riserva di chiarire ogni circostanza nelle sedi più opportune».
E osservano: «Se la professoressa avesse davvero voluto utilizzare, senza pagare, il laboratorio di Tossicologia, le attività effettuate non sarebbero state tutte inserite in un registro ufficiale, come è stato fatto, né avrebbero avuto a oggetto consulenze e perizie svolte per conto dello Stato (procura e tribunale). Siamo di fronte, tristemente, all’ennesima rappresaglia».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova