Vent'anni fa la tragedia dell'Antonov: quattro le vittime padovane

Le ali ghiacciate e il troppo peso provocarono la caduta del bimotore decollato da Verona: 49 morti. Sarebbe bastata un’operazione di quindici minuti e del costo di 250 mila lire per evitare il disastro

PADOVA. Un’operazione dal costo di 250 mila lire e della durata di un quarto d’ora avrebbe potuto evitare quel disastro aereo di vent’anni fa. Erano questi i soldi e il tempo necessari per fare lo sbrinamento delle ali ghiacciate del velivolo. Era la sera di Santa Lucia, mercoledì 13 dicembre del 1995: una forte nevicata aveva colpito quasi tutto il Veneto. Quarantanove secondi dopo il decollo, avvenuto alle 19.53, il bimotore turboelica Antonov An-24, precipitò con a bordo 41 passeggeri e otto membri dell’equipaggio. Tutti morti. Delle 49 vittime 30 erano italiane, sei rumene, una olandese. Quattordici i veneti, dei quali quattro padovani: Ottorino Pandin, 52 anni, di Fontaniva; Otildo Morello, 59 anni, di Casale di Scodosia; Franco Mazzolin, 49 anni, di Campodarsego e Giorgio Zago, 47 anni, di Padova.

Tragedia dell'Antonov, il ricordo dei familiari delle vittime padovane

Erano gli anni della delocalizzazione delle aziende nell’Est Europa e in Romania in particolare. Anche le quattro vittime padovane andavano a Timisoara dove avevano attività economiche. Era il volo trisettimanale Banat Air 166 da Verona a Timisoara. L’aereo, appena decollato dalla pista 05 cadde, in dieci secondi, da un’altitudine di circa 150 metri e a 500 metri di distanza dalla rete di recinzione dello scalo veronese. Subito dopo lo schianto sul terreno di un pescheto, a un centinaio di metri da una casa colonica, l’Antonov si spezzò in due tronconi: 4.800 litri di carburante nei serbatoi provocarono delle fiamme altissime nel candore notturno della neve. «Tre quarti dell’aereo - raccontò uno dei vigili del fuoco - erano ridotti a briciole: solo il troncone di coda era ancora riconoscibile. In meno di un minuto abbiamo spento l’ incendio. I corpi erano tutti anneriti, gonfi, irriconoscibili. Tutto intorno una puzza di kerosene e di carne bruciata».

Secondo quanto accertato dalla commissione d’inchiesta nominata dalla magistratura, le cause dell'incidente, oltre che nel ghiaccio sulle ali, vanno ricercate anche nel fatto che l’aereo trasportava 210 quintali in più del peso massimo consentito al decollo: il velivolo era troppo pesante per prendere quota. In quelle condizioni le autorità aeroportuali veronesi avrebbero dovuto, secondo quanto stabilito dalla legge, bloccare il volo e non autorizzare il decollo. Bastava controllare, come è obbligatorio, il piano di carico. Ma il pilota disse: «Vi mando un fax da Timisoara». Lo lasciarono andare perché allo scalo veronese, nel moderno, ricco, efficiente Nordest, erano abituati così. Da anni i «piani di carico» non venivano esaminati «prima» della partenza ma dopo.

La commissione stabilì anche che viaggiare sovraccarico era una costante sulla linea Verona-Timisoara. Nel processo di primo grado, in tribunale a Verona, venne condannato soltanto il pilota dell’aereo, Ivan Mircea, morto nell'incidente, ma la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza confermata dalla Cassazione, rovesciò il verdetto e ritenne responsabili di disastro aereo e omicidio colposo plurimo l’allora direttore dell’aeroporto, Francesco Canfarelli (2 anni e 10 mesi), quello del settore operativo Antonio Realdi (2 anni e 5 mesi), l'addetto al centraggio, cioè al controllo che gli aerei siano caricati con equilibrio dei pesi, Davide Albieri (2 anni e 3 mesi) e quello al traffico aereo Renato Rossato (un anno e 6 mesi). Secondo i giudici, dunque, le responsabilità di quel disastro andavano individuate nei vertici dirigenziali dello scalo veronese, che avevano fatto decollare l’Antonov senza ordinare al pilota di far effettuare il “de-icing”, lo sghiacciare delle ali e del timone di coda del velivolo e di consegnare il piano di carico dell'aereo.

«Noi - disse all’indomani della sentenza, Francesco Zerbinati, portavoce dei familiari delle vittime del disastro aereo - tutte queste cose le dicemmo fin dall’inizio, e per sottolineare il mancato rispetto delle norme di sicurezza facemmo anche un sit-in di protesta, nel 1997, all'aeroporto Catullo. Mentre il governo italiano è stato sempre completamente assente di fronte alle necessità delle famiglie abbandonate a se stesse nelle estenuanti vicende processuali, penali e civili, dalle testimonianze del processo è emerso che la medesima pratica di controllare i piani di carico degli aerei non prima del decollo, ma all'arrivo, viene effettuata in tutti gli scali italiani, a parte quello di Torino. Domenica faremo una cerimonia di ricordo a Sommacampagna». I familiari delle vittime, nonostante i giudici abbiano condannato al pagamento il Ministero dei Trasporti, l’aeroporto di Verona e la compagnia aerea, non hanno ancora ricevuto alcun risarcimento. Quella sera arrivammo all’aeroporto veronese dopo oltre due ore di auto da Padova per la bufera di neve che infuriava su tutta l’autostrada. Dopo vent’anni è ancora vivo nella memoria del cronista il ricordo della moglie di una delle vittime, di Bologna. «Mio marito qui in Italia non ce la faceva più con le banche, aveva trasferito la sua attività in Romania per evitare il fallimento. Era contento».

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