Verso la «Particella di Dio», il contributo dei ricercatori padovani

L’università di Padova partecipa attivamente all’esperimento al Cern di Ginevra che sta risalendo le origini della vita fino ad arrivare al «big bang». Ecco come gli studiosi padovani spiegano il loro contributo

PADOVA. C’è un grande contributo dei ricercatori padovani nell’esperimento che sta cercando di invididuare la cosiddetta «particella di Dio». Ecco come i ricercatori padovani spiegano il loro lavoro.

L’ esperimento “Compact Muon Solenoid” (CMS) è uno dei quattro esperimenti installati al “Large Hadron Collider” (LHC) del CERN a Ginevra, il più potente acceleratore di particelle elementari esistente al mondo. CMS è uno dei due esperimenti a scopo generale, costruito per osservare ad ampio spettro le collisioni tra fasci di protoni che avvengono nell’ acceleratore, ad un’energia che, nel 2011, è stata di 7000 miliardi di elettronvolt (per confronto, si pensi che le energie di legame degli elettroni negli atomi sono dell’ordine dell’elettronvolt). Nelle collisioni tra i protoni che avvengono nel centro di CMS ad una frequenza elevatissima (decine di milioni di urti al secondo), l’energia cinetica viene trasformata in materia, sotto forma di centinaia o anche migliaia di particelle. Il rivelatore CMS è, concettualmente, un gigantesco microscopio che, con grande dettaglio, osserva, misura e registra le particelle che lo attraversano a velocità molto prossime a quella della luce. Studiandone le caratteristiche, la loro tipologia, velocità, direzione e molteplicità, i ricercatori ottengono preziose informazioni sulle interazioni fondamentali che ne regolano il comportamento in condizioni prossime a quelle dei primi istanti di vita dell’Universo. Per fare questo difficile lavoro, è stato necessario progettare e costruire un rivelatore (in realtà una “matrioska” di diversi sotto-rivelatori con differenti compiti specifici) molto grande e complesso, dotato di decine di milioni di canali di elettronica capaci di lavorare con grande precisione in maniera perfettamente sincronizzata (entro un miliardesimo di secondo). Le sue dimensioni sono quelle di un palazzo alto sei piani, lungo una quindicina di metri e del peso di circa 14,000 tonnelate. La sua realizzazione è durata circa 15 anni, a partire dagli inizi degli anni ’90, ed ha coinvolto una collaborazione internazionale di più di 2000 ricercatori (fisici, ingegneri, tecnologi) da 173 Istituzioni di ricerca (Università e laboratori) di 40 Paesi. La foto mostra uno spaccato della parte centrale del rivelatore, al tempo del suo assemblaggio finale nella caverna che lo ospita a circa 100 metri di profondità. La partecipazione italiana è stata ed è tuttora rilevante e qualificata (dopo gli USA, i ricercatori italiani sono il gruppo più numeroso). I ricercatori padovani sono una trentina, provenienti dalla locale Sezione dell’ Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dall’ Università di Padova.

Un ruolo cruciale nel rivelatore è svolto dal sottorivelatore di muoni (particelle simili agli elettroni, ma circa 200 volte più pesanti), la cui presenza negli eventi di collisione caratterizza processi fisici molto rari e interessanti, in particolare l’eventuale decadimento del celebrato “bosone di Higgs”, oggetto delle ricerche presentate al Cern in questi giorni. Concepito e progettato su un’idea del prof. Fabrizio Gasparini dell’Università di Padova, questo sottorivelatore è stato interamente costruito sotto la sua leadership tra il 1995 e il 2008 da una Collaborazione costituita dai gruppi di Padova, Bologna, Torino, Aachen e Madrid. Il suo compito è quello di rivelare il passaggio di particelle cariche subatomiche (i muoni, appunto) su un superficie (grosso modo cilindrica) che “srotolata” su un piano avrebbe l’area di un campo di calcio, con una precisione spaziale di un decimo di millimetro in qualsiasi punto della superficie e una precisione temporale di tre nanosecondi, con una capacità di ripetere questa operazione di rivelazione 40 milioni di volte ogni secondo. Il rivelatore, costruito e sottoposto a test di funzionamento in larga parte presso i Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN, ha mostrato di comportarsi egregiamente, secondo le prestazioni richieste, in questi primi due anni di presa dati di LHC. Contemporanemante, una parte del gruppo di ricercatori padovani ha contribuito alla costruzione del tracciatore a silici più interno di CMS: il più grande rivelatore di questo tipo al mondo, una grande sfida scientifica e tecnologica in cui di nuovo il ruolo dell’INFN è stato determinante. Il rivelatore a silici, che opera nella regione più difficile dell’ apparato, perché più vicina alle collisioni, ha un ruolo cruciale nel ricostruire le tracce delle particelle misurandone con altissima precisione quella che in fisica si chiama “quantità di moto” (il prodotto della loro massa per la velocità).

Nell’attuale fase di presa dati, il gruppo di Padova, oltre a garantire il necessario supporto per il funzionamento dei rivelatori, contribuisce attivamente a varie analisi di fisica, riguardanti in particolare la ricerca del bosone di Higgs nella sua versione “supersimmetrica”, le proprietà dei quarks “top” e “beauty” (la famiglia dei quarks più pesanti finora scoperta), le ricerche di processi “esotici” previste da teorie “non standard” che possono essere collegate al problema della materia oscura nell’Universo.

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