Viene operato al cuore e non si risveglia più
VIGONZA. È spirato ieri alle 13 al Centro Gallucci dopo una settimana di calvario. Riccardo Turrin aveva appena 29 anni, i 30 li avrebbe compiuti il 31 ottobre. Dalla nascita soffriva di una cardiopatia congenita, la Tetralogia di Fallot, e il primo agosto è finito sotto i ferri per un intervento suggerito per migliorare la sua condizione. Un’operazione programmata da marzo e affrontata con grande fiducia. Dalla quale però non si è più risvegliato.
Il 2 agosto sono cominciate le complicazioni che hanno portato venerdì 5 i medici ad amputargli mezza gamba destra. Sabato il peggioramento con la cessazione di ogni attività neurologica. Domenica 7 agosto il decesso, che ha sconvolto la moglie Deborah Gallinaro e i familiari i quali hanno presentato la richiesta affinchè sia eseguita l’autopsia per capire cosa sia successo, perché rassegnarsi a una perdita tanto repentina sarà molto difficile. Con Riccardo se ne vanno tutti i sogni e i progetti coltivati da quando, Deborah quattordicenne e lui diciassettenne, si conobbero. Se ne va il futuro e il sogno di avere un bambino.
«Riccardo era nato con una grave patologia cardiaca» racconta la moglie Deborah, che a 27 anni si trova a vivere un lutto devastante che tuttavia affronta con grandissima dignità e forza d’animo, «era stato operato ad appena tre anni e ha vissuto senza problemi particolari ovviamente sottoponendosi a controlli costanti all’ospedale di Padova».
In giugno Riccardo Turrin aveva però dovuto ricorrere due volte alle cure ospedaliere per degli attacchi di tachicardia, e gli era stato prescritto riposo. Così si era preso un periodo di malattia dalla ditta ZetaDue di Padova, dove lavorava come elettricista.
Lunedì primo agosto la moglie l’ha accompagnato al centro cardiologico di Padova per affrontare l’operazione che era stata programmata da quattro mesi. «Ci vediamo dopo» le ha detto fiducioso entrando in sala operatoria. «L’operazione è stata effettuata dall’equipe del professor Stellin» dice Deborah, «sembrava un intervento di routine, invece è durata 14 ore e Riccardo non si è più risvegliato».
Il quadro clinico del ventinovenne è rapidamente degenerato. «Prima di entrare in ospedale Riccardo stava comunque bene, l’operazione doveva servire per recuperare una vita discreta se non ottima» afferma la giovane moglie, «ma il giorno successivo all’intervento hanno smesso di funzionare i reni, poi il fegato e via via tutti gli altri organi e i medici hanno cominciato a imbottirlo di farmaci».
Deborah Gallinaro, sempre accompagnata dai familiari, ha chiesto spiegazioni ai medici, non potendo accettare la tragedia. «Mi hanno risposto che nell’affrontare l’intervento era insito il rischio che potesse morire in sala operatoria» racconta con le lacrime agli occhi, «e che sarebbe anche potuto morire in casa nel giro di poche settimane. Ecco, non so se si è trattato di scarsa comunicazione, ma avrei preferito saperle prima queste cose. Non ero stata informata dei rischi di quell’operazione».
Venerdì la decisione di amputare la gamba. «Era fredda, non circolava il sangue» spiega Deborah, «sospettavano un trombo non evidenziato. Non mi hanno chiesto il consenso, mi hanno solo detto: dobbiamo farlo, presentandomela come un’operazione salvavita. Successivamente mi hanno informato che l’amputazione non aveva avuto l’effetto sperato e sabato mattina mi hanno detto che non c’era più niente da fare». Un racconto lucido. Sulla base del quale Deborah chiede che le sia data una risposta chiara: «Anche se mi dicessero solo: abbiamo fatto di tutto per salvarlo, lo accetto. Ma fino ad oggi non ho saputo niente. Oltre al dolore vedo poca chiarezza, perché sabato mi hanno detto che uno su 20 operati muore. Forse se ce lo avessero spiegato prima probabilmente non avremmo accettato. Ci avevano detto che era necessario intervenire e noi ci siamo fidati: se migliora la vita perché non farlo? Ora come faccio a crederci se fino a pochi giorni prima dell’intervento Riccardo rideva e saltava? Ho chiesto anche se l’intervento era proprio necessario e i medici mi hanno risposto ancora una volta di sì. Spero di avere risposte dall’autopsia».
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