Violenza di genere, il grido inascoltato di Sandra Pegoraro: «Non frega a nessuno di noi sopravvissute»
Aveva raccontato il suo dramma di vittima della violenza di genere: «Ho dovuto pagarmi tutte le spese del processo, senza un rimborso»
«Non frega niente a nessuno di noi sopravvissute». La violenza e soprattutto le sue conseguenze – il senso di impotenza, di ingiustizia, anche un po’ di solitudine – erano diventate quasi un’ossessione per Sandra Pegoraro, la 52enne vittima dell’incidente dello scorso 22 dicembre in via Pontevigodarzere.
La storia
Si considerava una sopravvissuta perché nel maggio 2022 era stata brutalmente aggredita e colpita con una coltellata alla schiena dal suo ex compagno.
Ma si considerava anche una vittima lasciata sola dallo Stato: «Come risarcimento ho chiesto solo i 20 mila euro di provvisionale, a cui si aggiungono 6-7 mila euro di spese processuali, ma finora non ho visto un euro, anzi mi sono dovuta sobbarcare tutte le spese», raccontava ancora lo scorso febbraio denunciando che l’ex compagno, attualmente detenuto, risulta nullatenente: «L’unica possibilità per avere un minimo indennizzo è quella di fare un azione di pignoramento, pagando altri mille euro a un avvocato civilista.
Un pignoramento che chiaramente non andrà a buon fine, visto che lui non ha nulla, ma che mi potrebbe permettere di accedere al fondo vittime di violenza».
Pegoraro aveva dovuto pagarsi gli avvocati per affrontare il processo contro il suo ex compagno violento. E il tutto in una condizione psicologica di estrema fragilità, in quanto vittima di violenza.
Aveva però trovato la forza per denunciare la situazione in cui si era trovata: «Queste sono cose che si devono sapere, che vanno cambiate – diceva in un’intervista al nostro giornale – Lo Stato dovrebbe fornite un aiuto più concreto alle vittime di violenza, anche alle poche che sopravvivono. Perché tutti sanno cosa succede quando si muore, ma nessuno sa cosa significhi sopravvivere».
Una situazione drammatica
Una situazione che non era cambiata in questi mesi, lasciando Pegoraro in grande difficoltà. L’ultimo sfogo è di pochi giorni fa, a inizio dicembre, dopo la sentenza di condanna all’ergastolo per Filippo Turetta, l’assassino della giovane Giulia Cecchettin: «Lo Stato pensa che dando l’ergastolo a questo assassino si rivolva qualcosa o che possa in qualche modo fare stare meglio noi vittime di violenza».
«Mi fanno ridere – confidava Sandra Pegoraro – Soprattutto perché non frega niente a nessuno di noi sopravvissuti. L’uomo che mi ha rovinato la vita – anzi, che ha tentato di togliermi la vita – tra sei anni uscirà dal carcere perché ha preso anche dei benefici. E adesso mi vengono a dire che se danno l’ergastolo a Turetta io e le altre donne come me dovremmo dire grazie? Non credo proprio. A noi povere sopravvissute piacerebbe non avere un marchio in fronte come l’ho avuto io, come me lo sento io ogni giorno dappertutto».
Una situazione difficile quella di dover portarsi dietro il peso delle conseguenze di un atto di cui si è stati vittime. Sandra Pegoraro si sentiva abbandonata: «A noi vittime di violenza piacerebbe essere considerate comunque esseri umani – scriveva – Mi piacerebbe molto che questa mia perplessità, o comunque incazzatura (non so come chiamarla) fosse resa pubblica».
E così aveva fatto contattando la redazione. Uno sfogo che però era rimasto inascoltato.
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