Addio a Valentina Cortese l’ultima diva in foulard che disdegnò Hollywood

L’attrice si è spenta a 96 anni dopo un lunga carriera e una candidatura all’Oscar. Aveva casa alla Giudecca
01/04/2012 Milano Trasmissione Che Tempo che Fa nella foto Valentina Cortese
01/04/2012 Milano Trasmissione Che Tempo che Fa nella foto Valentina Cortese



È stata, con Alida Valli e Anna Magnani, una di quelle grandi attrici italiane che Hollywood ci invidiava e che cercò anche di strapparci. Valentina Cortese, scomparsa ieri nella sua bella casa milanese, l’ex-convento di Sant’Erasmo, alla ragguardevole età di 96 anni, ai più giovani probabilmente non dice molto. Eppure per almeno un paio di generazioni di italiani lei è stata una diva autentica, forse l’ultima come titolano da ieri i social. Lanciata nel cinema dei telefoni bianchi, negli anni ‘40, quando l’Italia in guerra aveva bisogno di miti esotici e di status symbol come la celebre cornetta, Valentina venne scoperta da un talent-scout come Alessandro Blasetti per “La cena delle beffe” (1942), a fianco del trio di punta di allora, Clara Calamai (che qui svelò il primo seno nudo del cinema italiano), Osvaldo Valenti e soprattutto Amedeo Nazzari. Da allora il successo fu immediato: dopo alcuno film di genere, nell’immediato dopoguerra le major si accorsero di lei. Nel 1948 è sotto contratto della 20th Century Fox, entrando in film celeberrimi come “Malesia”, “La contessa scalza”, “I corsari della strada”, a fianco di star come Spencer Tracy, James Stewart, Humphrey Bogart, Ava Gardner e di Richard Basehart, che poi sposò nel 1951, in Italia, e dal quale ebbe un figlio, Jackie, anch’egli attore. Nonostante si fosse inserita molto bene («Ho fatto i pop corn a casa di Paul Newman e ho tenuto a battesimo Anthony, il figlio di Gregory Peck» racconterà nella sua autobiografia “Quanti sono i domani passati”), il suo carattere poco malleabile la spinse ad andarsene da Hollywood sbattendo la porta o, meglio, «la mia avventura finì quando tirai un whisky in faccia al re della Fox», nient’altro che il tycoon Darryl Zanuck, colpevole di aver allungato le mani in un’epoca tutt’altro che “me too”. Avrebbe dovuto girare con Charlie Chaplin “Luci della città”, ma rimase incinta. In Italia fu ancora a lungo protagonista sul grande schermo, con Michelangelo Antonioni (“Le amiche”) e Federico Fellini (“La strada”, “il bidone”, “Giulietta degli Spiriti”). Erano gli anni in cui dopo Greta Garbo e Ingrid Bergman, Valentina Cortese era considerata di gran lunga la terza star mondiale. Alla metà degli anni ’60 decise di passare al teatro, complice la grande passione artistica e sentimentale con Giorgio Strehler, che venne dopo quella non meno famosa (e focosa) con il direttore d’orchestra Victor De Sabata e l’unione più tranquilla con il marito, l’industriale farmaceutico Carlo De Angelis. Al cinema fu ancora protagonista con Franco Zeffirelli (“Fratello sole, sorella luna”), ma soprattutto ebbe una celebre parte con François Truffaut in “Effetto notte”, per la quale fu candidata all’Oscar (1975) come non protagonista. Vinse la Bergman (per “Assassinio sull’Orient Express”), che sul palco si scusò pubblicamente per un Oscar che sentiva rubato alla Cortese. Altri tempi. Valentina Cortese, che ha avuto per lungo tempo una casa a Venezia, alla Giudecca, arredata in bianco ma con alcune stanze ispirate al caffè Florian, girava sempre con la testa fasciata in un foulard: figlia (illegittima) di contadini, aveva imparato da loro ad annodarlo, per proteggersi dal sole. È diventato la sua icona. In teatro la simbiosi dialettica e produttiva con Strehler ha lasciato il segno: “El nost Milan”, “Arlecchino servitore di due padroni”, “Il gioco dei potenti”, “Il giardino dei ciliegi”: non a caso la camera ardente è allestita al Piccolo Teatro Grassi di Milano, voluta dal direttore Sergio Escobar, da giovedì a venerdì, giorno dei funerali, alle 11 nella chiesa di San Marco. —



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