Aldo Rossi, l’architetto che leggeva il contesto Il Palazzo della Ragione come un paradigma

Dagli anni Sessanta agli anni Novanta: Padova dedica una mostra al talento e alla sapienza del teorico di una nuova visione



Forse era destino che il Palazzo della Ragione a Padova ospitasse una mostra su Aldo Rossi. Un palazzo così carico di pregio e di storia, perno del centro storico di una città antica, costituiva un perfetto paradigma della sua idea di architettura che partiva dallo studio del contesto, delle forme e delle radici, ma anche dalla moltitudine degli sguardi e dei passi che su quel monumento si sono posati nei secoli. Il Salone divenne per lui una specie di archetipo: ne scrisse, ne pubblicò immagini nei suoi libri; studiò la città dal Pedrocchi a Prato della Valle.

Ora Padova ricambia l’attenzione che Aldo Rossi gli riservò con una mostra misurata e puntuale, in grado di mettere a fuoco il talento e la sapienza di un architetto che rifondò una disciplina stretta nel bivio tra l’architettura moderna e quella post-moderna, entrambe senza memoria, la prima per principio la seconda per gioco. 150 pezzi tra disegni, plastici, fotografie e oggetti di design: “Aldo Rossi e la Ragione. Architetture 1967-1997” (da domani al 29 settembre) curata da Cinzia Simioni e Alessandro Tognon, con la collaborazione scientifica e curatoriale della Fondazione Aldo Rossi, si concentra su quattro progetti emblematici, il Cimitero di San Cataldo di Modena (1971-1978), il Teatro del mondo di Venezia (1079), il complesso alberghiero a Fukuoka (1987-1989) e il progetto per il Deutsches Historisches di Berlino (1988). Intorno scorrono disegni, progetti, “capricci” ovvero originali montaggi di varie architetture con corredi di figure, evocazioni, simboli che mostrano quanto fosse libero e coltissimo il backstage di una progettualità sospesa tra razionalità e simbolismo.

L’accentuata qualità artistica dei disegni è frutto della sensibilità prensile con cui l’architetto milanese pensava al progetto: il calore che ammorbidiva il segno e colorava le forme sembra promanare dai depositi delle vite e delle memorie nel sottofondo. Oggi partire dalla conoscenza del contesto sembra piuttosto ovvio, ma negli anni Settanta era un metodo rivoluzionario, controcorrente rispetto alla vulgata dell’architettura funzionalista. Tra gli anni Settanta e Novanta Aldo Rossi teorizzò una nuova idea di architettura, con progetti in cantiere, libri, conferenze e didattica. Dalla storia della città, che è tutt’uno con la storia dell’architettura, estrasse stilemi generativi che fondano struttura e visione. Nel periodo neoclassico, l’illuminismo si prese libertà dalla dea Ragione sconfinando nel visionario: su quel confine si riforniva l’iconologia di Rossi, inventando una originale metafisica dello spazio e della funzione che interpretava, e forse anticipava, lo spirito del tempo.

Nonostante l’indipendenza e il radicalismo intellettuale, la sua architettura ebbe una grande diffusione. In un’intervista che pubblicammo su questo giornale nel dicembre del 1996 (morì l’anno dopo in un incidente stradale) gli chiesi le ragioni di tanto successo: «Credo che vadano cercate non tanto nel caratteristico rigore del linguaggio ma nel fatto che sembra esprimere diverse istanze del mondo e della cultura moderna e quindi dell'architettura…l’indubbio successo che la mia architettura riscuote tra i giovani architetti in tutto il mondo si rivela soprattutto nelle questioni e nei problemi che mi pongono nel corso delle conferenze che tengo in America, in Giappone e nei paesi più esotici». Riguardo al “Teatro del mondo”, chiaro simbolo dell’identità veneziana ma anche emblema della sua architettura, disse: « È stato preso più come un’esercitazione formale, però era anche un modo di vedere come si potesse portare avanti qualcosa a Venezia. L’ ispirazione tra il veneziano e l’ottomano e il fatto stesso di porlo sull’acqua, rappresentavano proprio il tentativo di vedere come si può capire l’antico attraverso una struttura moderna. Oggi è ancora uno degli esempi più ammirati, riprodotti, presente in tutti i musei del mondo. Il “Teatro del mondo” si riferiva a Venezia. Ma, in effetti il discorso della Schultzenstrasse è abbastanza simile, perché Berlino è una città completamente distrutta che però ha e deve avere una sua forte e fondata caratterizzazione. Un rimprovero che io ho mosso di recente, nel corso di un dibattito al Senato di Berlino, ai tedeschi è quello di dimenticare, a volte, la radice di quella che è stata una grande capitale, in nome di parole effimere su una presunta nuova democrazia». —



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