Arrivederci, Nina Da una lapide sboccia una storia

di Silvia Zanardi
Aveva 25 anni, si chiamava Anna Jakovlevna Sluckaja e a Venezia sognava di iniziare una nuova vita con l’uomo che amava. Lontano dalla sua Pietroburgo e da un padre a cui, probabilmente, aveva nascosto di essere incinta. Di lei sono rimasti solo un nome e un addio incisi su una pietra del cimitero di San Michele: “Dosvidania, Nina!”. Un saluto che trent’anni fa ha incuriosito un professore e giornalista milanese, Claudio Facchinelli, che alla storia di questa ragazza russa, morta a Venezia nel 1886 ha dedicato un libro, già edito in Russia e di prossima pubblicazione in Italia per i tipi di Sedizioni. Il libro, a metà fra un saggio, un romanzo e un libro inchiesta, si intitola proprio “Dosvidania, Nina!” (“Arrivederci, Nina!”) e nell’evidente errore ortografico che si legge (“arrivederci”, in russo, si scrive “Dasvidania”) è nascosta la chiave della storia.
«Mi sono imbattuto in questa storia negli anni Ottanta, mentre presiedevo le commissioni di maturità in alcuni istituti veneziani» racconta l’autore. «Da sempre sono un appassionato di letteratura russa e quell’errore non mi è passato inosservato. Ho deciso di andare a fondo, di scoprire chi fosse questa misteriosa Nina e in trent’anni, viaggiando fra Venezia e la Russia alla ricerca di documenti, ho ricostruito la sua storia. A scrivere quell’addio è stato il suo innamorato, un giovane veneziano che Anna, da lui chiamata Nina, aveva conosciuto a Pietroburgo, durante le notti bianche».
Ad accompagnarla a Venezia, secondo la ricostruzione di Claudio Facchinelli, era stata la madre, la baronessa Ludmila von Gasford, nel novembre del 1885. A pochi mesi dal suo arrivo in laguna, la gravidanza si era rivelata problematica: «Nella clinica di un prestigioso ginecologo tedesco, che all’epoca aveva sede a Palazzo Barbarigo sul Canal Grande, Nina si è spenta il 29 gennaio del 1886» racconta Facchinelli. «Dalle testimonianze che ho raccolto negli archivi e nelle biblioteche veneziane ho scoperto che soffriva di ovarite». Nei documenti che riguardano la sepoltura della ragazza si parla sempre di “Anna detta Nina”: «La ricerca delle sue origini è stata ardua perché Anna è morta da nubile, il suo legame con il giovane veneziano è stato dunque di poco aiuto».
Ma Facchinelli è riuscito a risalire ai nomi degli artigiani che hanno realizzato la sua tomba e al dolore del padre che, a distanza di tempo, ha fatto incidere una lapide con la sua dedica. «Nina era di nobili origini e suo padre era un generale di fanteria, il Generale Sluckij» spiega ancora l’autore. «Di suo nonno ho trovato uno scambio epistolare con Dostoevskij e, anche per questo, il libro sta interessando molto i russi. Fin dall’inizio ho ipotizzato e immaginato, un po’ romanticamente, che Cechov sai passato davanti alla tomba di Nina e si sia ispirato proprio a lei, e al suo nome, per scrivere il romanzo “Il gabbiano”. Sono contemporanei, hanno vissuto negli stessi anni e lei è morta il 29 gennaio, nel giorno del compleanno dello scrittore. Ma non sono in grado di dimostrare che Cechov abbia passeggiato per San Michele, non ho riscontri sufficienti per dirlo».
In Russia, il libro è stato presentato a San Pietroburgo, Minsk, Mosca, Omsk.
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