Brivido immortale A proposito di Frankenstein

VENEZIA. Venezia inaugura, oggi e domani con un convegno internazionale di grande ampiezza, la lunga stagione di studi che quest’anno ricorderà il bicentenario della pubblicazione di “Frankenstein” di Mary Shelley, uno dei romanzi che più hanno segnato l’immaginario mondiale. «Siamo stati i primi a muoverci» dice Michela Alliata Vanon, docente di Letteratura inglese a Ca’ Foscari e organizzatrice del convegno «ma molti altri seguiranno. Volevamo ricordare con questo convegno che la prima edizione del libro, pubblicata in forma anonima, uscì proprio nel gennaio di duecento anni fa, e fu un successo immediato. Già nel 1823 Mary Shelley potè assistere a una prima trasposizione teatrale dell’opera». Poi la fama si è accresciuta, Mary Shelley è stata riconosciuta come autrice, quasi con incredulità.
«L’idea che una ragazza di neppure vent’anni» dice Michela Alliata Vanon «avesse scritto un libro che affrontava temi così forti, anche macabri, destò grande impressione». E continuò a destarla se è vero che duecento anni dopo se ne parla ancora. Ovviamente viene da chiedersi il perché: «Il romanzo» spiega la studiosa «affronta un tema ancora di bruciante attualità se si pensa al genoma, allo spostarsi delle frontiere della ricerca, alla sfida alle leggi della natura per infondere la scintilla della vita. Senza contare che il romanzo anticipa la fantascienza o che nella creatura del dottor Frankenstein viene letto l’emblema del diverso, del rifiutato, del marginale. E c’è il tema dell’hybris, il peccato di arroganza dell’uomo; e il tema della nascita, intesa come atto arbitrario, come violenza di un creatore che impone la vita».
Tutto questo lo ha fatto diventare un mito e nel convegno si confronteranno varie letture, e riletture, perché la storia della ricezione e della trasformazione di Frankenstein è veramente ricchissima.
Angiola Codacci Pisanelli, per esempio, parlerà di una rilettura irachena di Frankenstein, “Frankenstein in Baghdad” pubblicata nel 2014, in piena guerra civile da Ahmed Saadawi, in cui si mescolano il mito della Shelley, la figura del ghoul, presente nelle “Mille e una notte”, ma anche gli zombi hollywoodiani, il tutto in una città dilaniata dalla guerra. Ma si può dire che geograficamente Frankenstein ha spaziato ovunque. Daniela Bombara analizzerà per esempio il “Frankenstein” teatrale di Henry M. Milner scritto nel 1828 ed ambientato in Sicilia. Nel 2014 un loro Frankenstein in musical se lo sono scritti anche i coreani (ne parlerà nel convegno Shin Hyewon) rileggendolo in modo più sentimentale, con la umanizzazione del mostro, che del resto è comune a molte interpretazioni novecentesche. Perché anche sulle interpretazioni, oltre che sulle riscritture, si può fare molto.
Monica Biasiolo per esempio ripercorrerà il legame tra la figura di Frankenstein e quella di Hitler che viene segnalata già nel 1933 e sopravvive fino ai nostri giorni. E a Berlino, in questi giorni, è in scena alla Deutshe oper “Frankenstein 2018”, ultima trasposizione, in ordine di tempo, del mito: un’opera lirica (ne parlerà Caroline Luderssen) che si concentra sul tema della vittoria della morte.
Ma tutta la storia di Frankenstein è ricchissima di stranezze. In Grecia, per esempio, il libro della Shelley è stato tradotto solo nel 1972, ma oggi è identificato soprattutto con la crisi finanziaria cui è stato associato. Non è un caso unico. «Nel convegno» anticipa Michela Alliata Vanon «Tatiana Sepic ci parlerà della ricezione di Frankenstein in Croazia, dove il libro è stato pubblicato solo nel 2000. E poi parleremo delle trasposizioni cinematografiche, di quelle a fumetti, delle serie televisive, perché veramente ogni cultura, ogni mezzo espressivo ha avuto il suo Frankenstein».
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