Camon: «Ma perché non ho mai vinto?»

VENEZIA. La notizia del Premio Campiello alla Carriera lo ha colto un po’ di sorpresa e lo ha stupito. «La primissima cosa che ho pensato quando mi hanno avvertito è stata che se mi davano un premio alla carriera vuol dire che i miei libri la gente li ha notati, che li ricorda, che durano. E allora come mai non ho mai vinto un Premio Campiello? Nella mia mente è sorta l’idea che col premio alla carriera si acquista il diritto di chiedere retroattivamente un risarcimento». Ferdinando Camon ha da poco superato gli ottant’anni; sul palco del Gran Teatro La Fenice, ha ricevuto dalle mani del presidente degli Industriali del Veneto Roberto Zuccato e del presidente del Comitato di Gestione del Premio Valentino Vascellari il riconoscimento alla carriera che la Fondazione Campiello ha voluto assegnargli in questa 54esima edizione.
Autore di pagine memorabili della letteratura italiana (Garzanti ha appena finito di pubblicare la sua opera omnia in 16 e-book), Camon è stato tradotto in tutto il mondo; riconosciuto come il “narratore della crisi” della civiltà contadina, del terrorismo, della psicoanalisi e dello scontro di civiltà, in effetti lo scrittore è entrato per ben due volte nella cinquina dei finalisti del Campiello (nel 1986 e nel 1989) senza mai vincere però il Premio letterario istituito dagli industriali del Veneto, quegli stessi che ha molto ammirato ma anche criticato nel corso della sua carriera.
«Il Nordest, con la Baviera e Osaka, è una delle aree del pianeta che ha progredito di più, però si è trattato di un progresso economico, non morale e culturale. Ho sempre lamentato questo carattere negativo del progresso del Veneto, che lo ha reso monco e incompleto. Con il benessere sono cresciute la droga, lo spaccio, e tutto è andato di pari passo con una imponente ateizzazione. Sogno un momento in cui la classe dirigente prenda coscienza di tutto questo e intervenga. Abbiamo ucciso una civiltà senza conservare memoria del passato e io nei miei libri non faccio altro che raccontare questo, sono un archivio di questa memoria».
In occasione del Campiello alla carriera, la casa editrice Garzanti - la sua storica - ha deciso di ripubblicare l’opera forse più nota di Camon, “Un altare per la madre”, con la quale lo scrittore padovano vinse il Premio Strega nel 1978. Intanto però col suo ultimo romanzo “La mia stirpe” (2011), Ferdinando Camon sente di aver esaurito in qualche modo un filone narrativo, quello che ricordava proprio la civiltà contadina.
«Comunque ho sempre qualcosa nel cassetto ma non mi sento ossessionato a finirlo. Non ho firmato contratti per libri futuri». E se dovesse ricominciare da zero una carriera da scrittore, da dove comincerebbe? «Se dovessi ricominciare oggi non saprei davvero: oggi il mondo è diverso come diversi sono gli scrittori, e non li sento come miei figli o nipoti, perché non lo sono. Li leggo e mi interessano molto questi scrittori: mi interessano Mozzi, Bettin, Villalta, Franzoso, Bugaro. Li leggo ma sono diversi da me, hanno un’altra lingua, un’altra esperienza, il loro è un altro mondo; hanno meno rivendicazioni, meno proteste. Io avevo immense rivendicazioni, immense proteste da fare».
La maggior gioia di questo Campiello alla carriera per Camon è stata del tutto personale: dopo tanto tempo lo scrittore ha potuto vedere riunita in questa serata di festa la sua famiglia. In platea, ad applaudirlo, c’erano infatti la moglie Gabriella Imperatori e i suoi due figli, Alessandro, che vive a Los Angeles, dove scrive e produce film, e Alberto, che vive a Bologna, dove insegna Procedura Penale all’Università. (s. men.)
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