«Dedico il premio al mio Paese e all’umanità che lotta»

Lav Diaz trionfa al festival di Venezia. Speranza (dei cinefili) e timore (del pubblico e degli esercenti), il regista filippino conquista il Leone d’oro con un il film “ The Woman Who Left”, tratto dal racconto breve di Tolstoj, “Dio vede quasi tutto, ma poi aspetta”, che lo consacra definitivamente alla Mostra del cinema, dopo due riconoscimenti nella sezione Orizzonti (una menzione nel 2007 e il premio per il miglior film nel 2008), un Pardo d’oro a Locarno nel 2014 e, infine, il premio Alfred Bauer all’ultimo Festival di Berlino.
Autore noto per le sue opere “dilatate” (in passato hanno raggiunto anche le nove ore di lunghezza) che procedono per quadri-sequenza attraverso flussi di parole e di immagini, Lav Diaz ha vinto con il suo film più “contenuto” (quasi quattro ore, in bianco e nero) e narrativo, con una trama insolitamente lineare e compatta, senza peraltro rinunciare a deviazioni di percorso legate alla storia del suo paese e a riflessioni su temi centrali come il potere, la vendetta, la solitudine. “The Woman Who Left” racconta la storia di una donna, rimasta ingiustamente rinchiusa in carcere per trent’'anni, che cerca il figlio scomparso in un periodo storico segnato dalla violenza e dalla paura.
Sul palco della sala grande, il regista filippino, giacca nera, jeans e capelli raccolti in un codino, compensa la propria inclinazione per un cinema fluviale con una parsimonia di parole che rasenta l’ermetismo soprattutto nelle occasioni in cui è chiamato a parlare in pubblico. Diaz, dopo aver invitato alcuni dei suoi collaboratori ad alzarsi in piedi quale doveroso riconoscimento ad un lavoro collettivo, ha dedicato il Leone d’oro al suo Paese, al popolo filippino e, persino, all’umanità che lotta.
«È un riconoscimento bellissimo» - ha detto nel suo inglese quasi sussurrato. «Conoscete la storia delle Filippine di cui ho voluto rappresentare e raccontare il senso di spaesamento che attanaglia i cittadini».
Poi, visibilmente emozionato, Diaz si è sciolto in un triplo «grazie» al festival di Venezia, a cui deve molto. Da oggi ancora di più.
Marco Contino
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