Getty, una storia di pura avidità con gli italiani come macchiette

Il 10 luglio 1973, John Paul Getty III venne rapito a Roma a piazza Farnese dalla ’ndrangheta, per un riscatto di 17 milioni di dollari, che il nonno, il magnate Paul, non accettò di pagare fino a...
Il 10 luglio 1973, John Paul Getty III venne rapito a Roma a piazza Farnese dalla ’ndrangheta, per un riscatto di 17 milioni di dollari, che il nonno, il magnate Paul, non accettò di pagare fino a quando i rapitori fecero recapitare ai giornali un orecchio del ragazzo. Il giovane venne liberato il 17 dicembre. Una vicenda che appassionò le cronache di allora, soprattutto per il dissidio tra la madre, Abigail Harris, e il vecchio magnate, intenzionato a non pagare («Ho 14 altri nipoti, e se tiro fuori anche un penny avrò 14 nipoti sequestrati»).


È questo contrasto a emergere bene da “Tutti i soldi del mondo” di Ridley Scott, non tanto un film sul rapimento, quanto sull’avidità, la dissoluzione morale e il senso di onnipotenza di una delle più celebri famiglie del mondo. Un conflitto ben impersonato da Michelle Williams, nei panni di Abigail, e da Christopher Plummer in quelli dell’uomo più ricco del mondo. Un ruolo che era stato dato a Kevin Spacey, che, a riprese ultimate, travolto dallo scandalo sessuale, è stato cancellato dalla ventina di scene in cui appariva. Riaperto il budget con l’aggiunta di 10 milioni di dollari (altro che riscatto!), le scene sono state rigirate a tempo di record (pare a 16 ore al giorno). Il risultato è forse anche migliore, perché Spacey sarebbe stato senz’altro gelido e sferzante, ma avrebbe dovuto essere invecchiato dal trucco. Plummer, 87enne, è invece molto più nella parte del vecchio avaro, tra Arpagone e Uncle Scrooge. A mediare, l’ex agente Cia Fletcher Chase (Mark Wahlberg) che il magnate mette a fianco della nuora per aiutarla (a risparmiare i soldi). Ma tutto attorno (ed è qui che il film delude e fa rimpiangere il Ridley Scott di “Alien”, “Blade Runner”, ma anche di “Thelma & Louise” e “Il gladiatore”) c’è un mondo di luoghi comuni, di figurine tratte dal catalogo della prevedibilità, prototipi della raffigurazione di un’Italia che evidentemente continua ad avere molto credito oltre oceano. I mafiosi sono personaggi da operetta, pieni di smorfie e di tic, i brigatisti rossi - effettivamente contattati - parlano come ragazzini che giocano a fare la rivoluzione, la magistratura e le forze dell’ordine sono incapaci o corrotte, la ricostruzione dei fatti è stravolta. All’opposto invece delle sequenze americane o inglesi, dove anche gli aneddoti (la cabina a gettoni per far telefonare gli ospiti) hanno un loro senso, come l’idea di far morire il vecchio all’indomani della liberazione del nipote, e non quasi tre anni dopo, a segnare la fine dell’impero.


Durata: 132’. Voto: **


Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova