I bronzi di Donatello: una pala scolpita che per 150 anni fu l’altare maggiore

PADOVA. Il soggiorno di Donatello a Padova durò circa dieci anni, dalla fine del 1443 e fu probabilmente dovuto, inizialmente alla commissione della tomba di Erasmo da Narni, detto Gattamelata, comandante delle armate della Serenissima Repubblica di Venezia.
Le cose poi si differenziarono: la statua equestre innalzata sul sagrato, allora cimitero, di fronte allo sbocco di via del Santo, non fu mai una tomba e il corpo di Erasmo trovò riposo eterno nella cappella Gattamelata (oggi cappella del Santissimo Sacramento) che Giacoma da Leonessa, vedova del condottiero, fece costruire lungo la parete destra della basilica.
Ma se anche l’esecuzione del cavallo e del cavaliere in bronzo fu il primo motivo che causò il trasferimento da Firenze dello scultore, in pochi anni i massari della Veneranda Arca di S. Antonio commissionarono a Donatello un nuovo e stupefacente altar maggiore, concepito come una sorta di tempietto all’antica, abitato da sculture in bronzo, come vere presenze vive, raffiguranti la Madonna con il Bambino, i santi patroni della città (Antonio, Daniele, Giustina e Prosdocimo), san Francesco e san Ludovico; l’altare recava anche uno stupefacente Cristo passo, quattro grandi rilievi, ciascuno con un celebre miracolo del Santo, i quattro simboli degli evangelisti e una serie formelle di angioletti musicanti e cantanti e infine una Deposizione nel sepolcro in pietra. Il punto del presbiterio dove fu innalzato l’altare, oltre che la disposizione dei rilievi è oggi ricostruibile con buona attendibilità grazie ai documenti d’archivio.

Non disponiamo di alcuna informazione riguardo all’altare maggiore antecedente a quello di Donatello, e nulla sappiamo della configurazione del presbiterio, che doveva essere molto diversa dall’attuale. Senz’altro il coro, come d’uso nelle chiese medievali, era situato davanti all’altare maggiore e costituiva una specie di barriera tra la navata, popolata dai fedeli, e il presbiterio, in cui si celebrava la Santa Messa.
L’altare di Donatello ebbe una vita relativamente breve, inferiore ai 150 anni: fu probabilmente innalzato in fretta, con qualche problema di struttura, sicché già dagli anni sessanta del Cinquecento si inizia a parlare di modifiche e rifacimenti. Così fu, alla fine del Cinquecento e dopo a metà del Seicento.

L’altare attuale fu eseguito alla fine dell’Ottocento, quando la basilica, in prossimità del 1895 (settimo centenario della nascita di Antonio) fu sottoposta, sotto la regia dell’architetto Camillo Boito, a una sorta di ripristino dello stato originale trecentesco. Dunque, perduto il luogo di collocazione originario dentro il presbiterio, persa anche la forma dell’altare donatelliano, oggi i bronzi e la Deposizione in pietra rimangono quali alti testimoni dell’arte dello scultore più celebre del Quattrocento: a Padova la sua presenza e le opere numerose che lasciò (per quanto a noi sconosciute) furono una vera scuola per gli artisti padovani, e in particolare per un giovanissimo Andrea Mantegna, che da subito guardò, imparò e realizzò, sui ponteggi della cappella Ovetari, su quello soprastante la porta maggiore della basilica del Santo, nel polittico eseguito per Santa Giustina, nella cappella di San Luca, un linguaggio pittorico prospettico, erudito e antiquariale, imparato nei cantieri di Donatello. —
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