Il documentario fa grande l’Italia

L’unica Italia che vince al Festival di Venezia alla fine è quella del documentario, con “Liberami” di Federica Di Giacomo, miglior film a Orizzonti. E non è certo la prima volta che a festival internazionali questo genere, considerato per troppo tempo di serie B, trova il suo giusto riscatto. Da “Sacro Gra” (vincitore proprio a Venezia ma nel concorso principale nel 2013) e “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi (Orso d’oro al Festival di Berlino quest'anno) fino a “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani (ancora a Berlino nel 2012). Alberto Barbera lo dice chiaramente: «Non ha più senso mantenere barriere tra documentario e film. Il termine stesso documentario è inadeguato, bisognerebbe trovarne uno nuovo. Tra l’Esorcista e Liberami non c’è poi tutta questa differenza in quanto a emozioni».
Dello stesso parere la regista Di Giacomo, che nel ricevere il premio sottolinea: «Il confine tra documentario e fiction è sempre più labile, ma forse nel documentario oggi c’è più coraggio». Cosa succede in “Liberami”? Persone che sentono strane presenze o comportamenti fuori dall'ordinario, depressi cronici o affetti da varie patologie e sindromi che potrebbero entrare di diritto in quelle psicologiche, non vanno necessariamente da uno psicoterapeuta. Si crea una vera e propria frattura culturale: se chi è vicino al malato è laico, il problema non si pone, c’è la psicoterapia con tutte le sue infinite scuole, se invece ha fede e, come si vede nel documentario, una sua semplicità popolare che lo rende vicino alla cultura arcaica, l’opzione è l’esorcista. Protagonista su tutti nel film il mite frate francescano di nome Cataldo, che opera a Palermo. Un sacerdote che riempie la sua chiesa di familiari e potenziali indemoniati e attende che il demonio in loro si manifesti. E questo accade puntuale. Gente che si getta a terra, che urla con voci stravolte, cerca di fuggire, teme l’acqua santa come le parole di Cataldo, 77 anni, che invita il demone ad andarsene come un buon padre di famiglia: «Lascia questa anima. Non l’hai torturata abbastanza? Lasciala». Ma quello che colpisce ancora di più di questo frate è il fatto che coinvolge tutti i familiari nella malattia del loro congiunto, come se fosse una loro colpa. «Dovete pregare tutti e capire dentro di voi dove avete sbagliato».
«Sempre più persone» conclude la regista, che ha dedicato il premio alla madre «affermano di essere possedute dal demonio. Un malessere sommerso, trasversale a bambini e vecchi, donne e uomini, semplici e colti. Il Diavolo non guarda in faccia nessuno. Una volta che ti ha preso, difficile liberarsene».
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