Il fotografo che amava Venezia e portò i suoi colori nel mondo

Si è spento a 89 anni. Fu il primo tra gli italiani a conquistare fama internazionale Celebre per le immagini della laguna, ha firmato reportage a ogni latitudine
Di Alberto Vitucci
Fulvio Roiter, uno dei più grandi fotografi italiani, morto all'età di 89 anni. ANSA/ ++PER GENTILE CONCESSIONE DELLA FAMIGLIA++ ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++
Fulvio Roiter, uno dei più grandi fotografi italiani, morto all'età di 89 anni. ANSA/ ++PER GENTILE CONCESSIONE DELLA FAMIGLIA++ ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

di Alberto Vitucci

Il successo e la popolarità mondiale delle sue fotografie di Venezia hanno fatto passare a volte in secondo piano il talento e la qualità. Fulvio Roiter, il fotografo veneziano più famoso al mondo, è morto l’altra notte all’ospedale di Venezia. Si è spento «serenamente, senza alcun accanimento», come ha detto la moglie Embo Lou, la fotografa belga con cui aveva condiviso le emozioni di una vita. Era malato da alcuni mesi, ritirato con la sua compagna nella casa del Lido dove aveva sempre vissuto. Nato a Meolo, in provincia di Venezia, il primo novembre avrebbe compiuto 90 anni.

Una carriera, la sua, esplosa alla fine degli anni Settanta, con il celebre “Essere Venezia”, libro fotografico che porta per la prima volta i colori di Venezia nel mondo. I puristi storcono un po’ il naso per quelle foto “normali”, un po’ turistiche. Che avvicinano i luoghi simbolo della città d’acqua ma anche i suoi angoli nascosti al grande pubblico. Il successo è planetario. Tirature eccezionali, come mai si era visto prima per un libro fotografico, un premio ad Arles per “il miglior libro di immagini dell’anno”.

Eppure la storia fotografica di Fulvio Roiter nasce molto lontana dalle pubblicazioni “commerciali”. A Venezia nel 1950 incrocia il circolo fotografico La Gondola, di cui diviene socio. Diventa anche l’allievo prediletto del maestro Paolo Monti, che ne apprezza le doti innovative, cromatiche e di composizione. Parte per la Sicilia e ne ricava un reportage di eccellenza sull’isola nel Dopoguerra. Scatti e ritratti in bianco e nero che svelano un mondo sconosciuto. Qualche anno dopo comincia il suo grande viaggio fotografico in Brasile. Pubblica con l’architetto Nyemeier un libro eccezionale che documenta la nascita della nuova capitale, Brasilia. Viaggia in Nord America e in Estremo Oriente, produce libri di viaggi, dedica raccolte importanti al paesaggio veneto, alla Marca trevigiana e alla sua terra di origine, il sandonatese.

Fino alla scoperta della “sua” Venezia. Alla fine degli anni Settanta l’amministrazione comunale guidata da Mario Rigo rilancia il Carnevale. Gli scatti di Roiter lo raccontano al mondo e arriva il successo. Fulvio e la sua inseparabile macchina fotografica fermano la bellezza della città. «La prima macchina fu una Welt, costava 500 lire e me la regalò mio padre che ero un bambino» raccontava «ma il mio sogno è sempre stato fin da allora la Leica. Era bello anche solo tenerla in mano».

Roiter scatta e commuove. La Venezia dietro i vetri con le gocce di pioggia, i due carabinieri di spalle con il mantello nero in Piazza San Marco. Le forme sinuose delle gondole allineate nello squero di San Trovaso, la “barca dei morti”, ultimo viaggio a remi nella nebbia verso il cimitero di San Michele, i colori e le maschere del Carnevale, l’acqua alta.

Il grande fotografo si era appassionato negli ultimi anni all’ambiente e alla difesa della laguna. Aveva partecipato alla campagna contro il taglio degli alberi al Lido per il Palacinema mai nato. Viveva adesso da vecchio saggio, spiegando ai ragazzi delle scuole i segreti della fotografia e del suo grande successo. L’ultima opera importante “Una Vita per Venezia”, edizioni Biz. Una “summa” della sua arte, metà a colori e metà in bianco e nero. Paesaggi e cromatismi, ritratti, ombre, figure. E dietro ogni cosa una città e una laguna che amava sopra ogni cosa.

«L’abitudine distrugge» diceva «a forza di vedere le stesse cose alla fine non ce ne accorgiamo più». Ecco la riscoperta della bellezza, a portata di mano. «Sono stato programmato geneticamente per fare il fotografo», amava ripetere. Diceva: «La fotografia è al 70% casualità, come la vita stessa. Casualità e mistero» E ancora: «La fotografia è il linguaggio del nostro tempo non potrebbe esistere un evento senza l’immagine. E noi fotografi siamo gli interpreti, i narratori speciali. Io fotografo per emozionare, per trasmettere tutto quello che ho dentro».

I funerali venerdì, al Lido.

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