Il senso della processione nel tempo della solitudine

CADONI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - PROCESSIONE SANTO
CADONI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - PROCESSIONE SANTO

Camminare assieme, pensare assieme, ascoltare la propria anima che parla, il canto e la preghiera, è il rito che costruisce le emozioni nel grande evento delle processioni. Si è appena conclusa a Padova la celebrazione del 13 giugno per Sant’Antonio, amato in tutto il mondo, venerato e ascoltato.

Andando al di là della fede e della religione, tenendo intatta la differenza fra credenza e religiosità, ancora in tempi così complessi come quelli della contemporaneità la processione di fede e fedeltà suscita forti adesioni di massa.



Da un lato, sicuramente la processione è uno dei pochi riti rimasti intatti nella storia dei comportamenti sociali dell’umanità: il cammino, la concentrazione dei pensieri e delle preghiere, ma anche il sacrificio, da dedicare ad una figura santa, assumono un forte significato nella vita. Le decine di migliaia di persone in processione per il Santo di Padova ricordano il cammino di Santiago de Compostela, ben più lungo e complesso ma simile, e la dedizione alla siciliana Sant’Agata o a San Gennaro a Napoli: in tutti i rituali ci sono le strade e le piazze che risuonano di canti, di preghiere, di inni non solo alla fede, ma allo stare assieme, alla speranza, quel bisogno necessario all’umanità, alla sua stessa sopravvivenza. Banalizzare le processioni solo come un’abitudine vuol dire sottovalutare la forza propulsiva che ha la spiritualità, atteggiamento necessario da un lato verso la vita, dall’altro verso la speranza per ritrovare quel necessario elemento emotivo che è la condivisione.

La Mecca Araba è simile, così come tutto ciò che di rituale troviamo nel Buddismo, e appartiene alle stesse danze sciamane, sta tutto dentro lo stesso elemento che è la religiosità. L’angoscia contemporanea è proprio la solitudine, l’essere protagonisti solitari del proprio isolamento esistenziale.

Se ad un certo punto la religione è stata condannata come oppio dei popoli, in realtà è rimasto l’unico possibile baluardo per la riconoscibilità dell’anima come animus, grande raccoglitore di eventi che vanno al di là della razionalità, del pragmatismo, dell’autoreferenzialità che oggi ritroviamo nelle pieghe della vita stessa.

Procediamo con lentezza, camminiamo vicini verso una meta anche inesistente, ma è l’arcaica logica del gruppo che si sorregge, condivide, lotta, per un unico progetto che è far stare bene dentro l’esistenza la propria soggettività. La processione è un grande segno d’adesione alla vita, ne celebra anche il suo stesso limite: ora più che mai ognuno di noi è necessario riprenda la capacità di vedere oltre la caparbietà della ragione. —

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