Kenneth Branagh alla regia più Shakespeare che Christie

Una delle avventure più fortunate e lette tra quelle scritte da Agatha Christie è senz’altro “Assassinio sull’Orient Express” in cui si muove la mente deduttiva di Hercule Poirot, investigatore belga...
Kenneth Branagh stars in Twentieth Century Fox’s “Murder on the Orient Express.” (2017)
Kenneth Branagh stars in Twentieth Century Fox’s “Murder on the Orient Express.” (2017)
Una delle avventure più fortunate e lette tra quelle scritte da Agatha Christie è senz’altro “Assassinio sull’Orient Express” in cui si muove la mente deduttiva di Hercule Poirot, investigatore belga cui nulla sfugge. Il giallo aveva già avuto tre adattamenti cinematografici, di cui uno di culto a opera di Sidney Lumet, nel 1974, con un cast da urlo che comprendeva Albert Finney nel ruolo di Poirot e tra gli altri Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Richard Widmark e Sean Connery. Apprestandosi a firmare un altro remake, Kenneth Branagh ne ricorda in parte la lezione, ma da grande attore shakespeariano filma con una maggior attenzione alle maschere più che ai personaggi, imperniando su Poirot (e su di sé) la massima attenzione scenica. Il film - e il giallo - resta quindi collettivo, ma non corale, per la predominanza del suo deus ex machina. E nonostante anche in questo caso lo schermo sia affollato da un cast di grande richiamo, da Johnny Depp nei panni del “vilain” assassinato, a Michelle Pfeiffer, Judi Dench, Penelope Cruz, Willem Dafoe, Derek Jacobi.


La storia è nota e anche la conclusione, che tuttavia non rinfrescheremo. Diremo solo che nelle mitiche carrozze che un tempo univano Istanbul a Calais, passando per Venezia, trovano posto 13 passeggeri. Mentre il treno è bloccato nei Balcani da una fittissima nevicata, si scopre che il discusso uomo d’affari - e criminale - Samuel Ratchett è stato assassinato. Tutti colpevoli e nessun colpevole: l’azione di Poirot volta a smascherare l’assassino dovrà scontrarsi con reciproci legami ed esperienze che uniscono i passeggeri ben oltre l’immaginato. Branagh mette al centro della vicenda due elementi, Poirot e l’Orient Express. Entrambi sono spesso inquadrati in piano sequenza - mentre l’investigatore entra in carrozza e le attraversa - o dall’esterno, mentre nelle immagini all’interno il regista predilige le riprese dall’alto, che schiacciano i protagonisti, al pari della vittima, verso il basso, accomunati tutti da un destino pesante. E aggiungendo il digitale, nella costruzione delle masse e nel delineare i paesaggi, Branagh sottolinea ancor di più la costruzione scenica - artefatta - del racconto e di tutta la vicenda. La conclusione, come già in Agatha Christie, investe questioni morali ed etiche che l’Europa degli anni Trenta (il giallo è del ’34) doveva scoprire solo dopo la fine della guerra, ma soprattutto lascia spazio a un sequel già annunciato nell’ultima inquadratura: “Assassinio sul Nilo”.


Durata: 114’. Voto: ** ½


Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova