La rivoluzione dell’arte attraverso la luce del Divisionismo

di Virginia Baradel
Chiunque abbia contemplato una vetta innevata in pieno sole sa cosa sia la luce al massimo della percezione umana. Più di così si trascende la natura e la luce può essere solo immaginata. Fino a là arriva l’occhio e fino a là cerca di arrivare la pittura. La luce del mezzogiorno sulle Alpi è vanto di Giovanni Segantini, come ogni altra varietà di luce d’alta quota in un addendum di note cromatiche tradotte in filamento di colore puro. Per capire la rivoluzione divisionista basta confrontare una montagna di Guglielmo Ciardi e una di Segantini o di Emilio Longoni o di Cesare Maggi. Ciardi mantiene l’impianto della veduta e alza la cromia luminosa per pennellate sovrapposte; Segantini punta alla visione della luce che ha buon gioco di dispiegarsi in quei sublimi panorami.
Titola “I pittori della luce” la mostra in corso al Mart di Rovereto fino al 9 ottobre, a cura di Beatrice Avanzi, Daniela Ferrari e Fernando Mazzocca. Arriva da una prima tappa di successo a Madrid ed è una mostra accurata, con taglio didattico. Sviluppa un pensiero preciso: il Divisionismo non fu solo la versione italiana del superamento dell’Ottocento, delle scuole regionali e del Romanticismo storico e sentimentale, incarnò l’aspirazione a una pittura “scientifica” che tenesse conto delle ricerche sulla luce e sul colore come il Pointillisme in Francia. I pittori divisionisti ingaggiarono una strenua lotta contro l’establishment dell’arte in nome della modernità e dell’idealismo che si traduceva anche in un fortissimo impegno sociale. Pensiamo al “Quarto stato” di Pelizza da Volpedo, ai quadri di Morbelli sulla desolazione degli ospiti al pio albergo Trivulzio, all’Affamato di Longoni. Come a dire: il presente è qui, nell’arte come nella coscienza sociale.
La mostra di Rovereto sottolinea la dimensione rivoluzionaria dei divisionisti che anticipa e fonda quella futurista. L’assunto non è nuovo, ma interessante è la puntualità del riscontro e la rassegna dei protagonisti non tutti noti e ammirati nelle diverse mostre sull’argomento che si sono succedute negli ultimi anni.
Il Divisionismo esordisce con questo nome alla prima Triennale di Brera nel 1891, sostenuto da Vittore Grubicy, poliedrica figura di mercante, critico, pittore, conoscitore e propugnatore delle nuove teorie sulla percezione ottica. Egli stesso dipinge paesaggi applicando la tecnica della divisione dei colori puri e complementari e il risultato, a differenza dei francesi, non è affatto statico ma altamente suggestivo. Su questo tracciato i divisionisti trascorrono dal senso panico della natura al Simbolismo vero e proprio, dai paesaggi potenziati di emozioni tramite gli effetti di luce alle allegorie che trascendono il creato visibile in direzione di afflati spirituali. Basterebbero i nomi di Segantini e Previati per comprendere questo approdo, ma in mostra vi sono nomi meno noti e assai importanti come Angelo Morbelli, Emilio Longoni e Carlo Fornara.
Morbelli adotta un puntinismo simile a un pulviscolo, sembra fissare in minuscoli pixel i vapori della Scapigliatura lombarda, sostituendo un occhio analitico a quello romantico. È con questa divisa che traduce il verismo pietistico in una rappresentazione oggettiva e allo stesso tempo carica di significato. Longoni, il “pittore degli anarchici”, è molto legato a Segantini che lo introduce nella scuderia di Grubicy per poi andarsene quando scopre che il mercante firmava come Segantini dipinti suoi, il che fa capire indirettamente la sua qualità. Anche Fornara, più incline a trasalimenti simbolisti, si lega a Segantini che lo invita a collaborare alla sua opera più grandiosa rimasta incompiuta, quel “Panorama in Engadina” che avrebbe dovuto rappresentare l’intero landscape della valle, un’opera d’arte totale alla quale il medico delle terme di St.Moritz attribuiva persino poteri di guarigione.
Nella sezione che illustra il Simbolismo oltre a Previati, che con i suoi fasci fluenti si libra sempre in una sfera di musica celestiale, colpiscono le tele di Plinio Nomellini. In “Polifonia” e “La donna del mare” sibilano note fonde e vibranti, frusciano gorghi e flussi di pennellate irrorate di bagliori sinistri.
L’ultima parte della mostra è dedicata al Futurismo e intende far capire come l’assunto divisionista possa arrivare sino alle compenetrazioni iridescenti di Balla, matrice dell’Astrattismo. Naturalmente un posto d’onore è occupato dalle tele di Boccioni degli anni milanesi, prima e dopo il manifesto della pittura futurista, dipinte con due pigli divisionisti diversi: tra Balla e Previati la prima fase, più sperimentale la seconda caricata di propellente cromatico antinaturalistico. Su questo terreno tuttavia Boccioni ha un concorrente di tutto rispetto: Luigi Russolo. Il suo “Profumo” è un vortice formato da ondine di colore puro, un’opera di sinestesia sensoriale, una fiammata di percezioni emotive, un veemente crescendo musicale.
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