La Scoletta dell’Arciconfraternita, luogo di culto avvolto dai dipinti

I Tesori del Santo: costruita sul sagrato della basilica per mitigare le pene, fu ornata a inizio 1500 con un importante ciclo di affreschi

PADOVA. Nel nostro Medioevo la dimensione religiosa fu come un fiume colmo di energia che attraversò i diversi ceti sociali – nobili, artigiani, colti e popolo minuto – e trovò espressione in gruppi organizzati (le confraternite o scuole) che in forme diverse concorsero a mitigare le pene altrui, con scopi caritatevoli, di soccorso e di aiuto agli sfortunati e ai bisognosi: i pellegrini e le vedove, che avevano perduto le sicurezze generate dalla protezione della sede e della famiglia; gli individui affetti da deformazioni fisiche o malattie, e quindi impediti nel lavoro e costretti a darsi alla mendicità, e quanti non erano in grado di rispettare le convenzioni sociali di dignità inerenti al proprio stato, perché sprovvisti di redditi.

Le confraternite raggruppavano i devoti intorno a un particolare culto (il Santo, nel nostro caso), prevedendo celebrazioni e preghiere in determinati giorni dell’anno e l’esercizio dell’elemosina a vantaggio dei poveri. L’Arciconfraternita del Santo riuscì, con poche altre a Padova, a costruirsi una sede propria, ubicata sul sagrato della basilica, e a far ornare all’inizio del XVI secolo la sala superiore con un ragguardevole ciclo di affreschi a partire dall’inizio del Cinquecento, e da un pittore semisconosciuto e attardato, Giovanni Antonio Corona, a cui però fu affidata la parete più importante della sala, quella dell’altare.



Subito dopo però, nel 1510-1511, si colloca l’episodio pittorico più celebre della Padova del Cinquecento, con l’arrivo di Tiziano, che eseguì i tre riquadri – i Miracoli del Neonato, del Marito geloso e del Piede risanato. L’irrompere di Tiziano sulla scena della Scoletta sembra non aver orientato le scelte successive dei confratelli, che chiamarono l’ormai anziano, ma pur sempre prestigioso caposcuola vicentino, Bartolomeo Montagna (Miracolo della mascella, 1512), e il giovane talento locale Girolamo Tessari, detto Del Santo (Miracolo del bicchiere, 1511), che nella Scoletta ha lasciato le sue prime opere documentate, solo marginalmente sfiorate dalla potente modernità dei riquadri tizianeschi.

Come nella tradizione trecentesca padovana, e nella modalità che caratterizza dovunque questo genere pittorico a carattere narrativo, i riquadri presentano i consueti sistemi di attualizzazione, allo scopo di garantire una “presa” efficace sul fedele: i luoghi sono riconoscibili, grazie alla raffigurazione di edifici specifici e particolari, ai personaggi viene dato il volto, a esempio, dei confratelli del sodalizio, si inseriscono personaggi vestiti alla moderna, non di rado messi in disparte, come una sorta di testimoni e osservatori del presente.



Non tutto è chiaro nella decorazione pittorica della Scoletta: un avvio in tono minore con Corona e Filippo da Verona, un exploit con Tiziano, un ripiegamento su una sorta di mediocritas di nobile livello, ma certo senza paragoni con l’arte del bellunese, grazie a Girolamo Tessari, con alcune problematiche ancora aperte su alcuni riquadri, di attribuzione non completamente assestata, convalidano l’idea di un ciclo di affreschi in cui i ripensamenti e qualche difficoltà non mancarono. —

*presidente della Veneranda Arca di Sant’Antonio


 

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