L’arte di Kiefer incontra Emo filosofo del nulla

In mostra a Parigi un ciclo di pitture e sculture ispirato dalla lettura di “Il dio negativo”

Parigi rende omaggio ad Andrea Emo Capodilista: il filosofo nascosto, il filosofo del nulla, un “imperdonabile”, secondo la definizione della scrittrice e amica Cristina Campo, voce fondamentale della letteratura italiana, a sua volta riscoperta dopo la morte. A portare in primo piano il filosofo, erede della nobile famiglia veneziana e padovana, è uno dei grandi nomi dell’arte contemporanea, il tedesco Anselm Kiefer, che ha dedicato al filosofo il suo nuovo ciclo artistico, “Für Andrea Emo”, composto da venti tra quadri e sculture, che sono in mostra a Parigi fino alla fine di maggio. Le opere di Kiefer, ospitate in tutte le principali collezioni di arte contemporanea, dal Guggenheim alla Tate, dall’Albertina al Metropolitan, da sempre riflettono sulle grandi questioni storiche e culturali del presente e del passato, partendo da ispirazioni filosofico-letterarie. In passato si è trattato di Celan, di Heidegger, di Genet e Ingeborg Bachman, ora è la volta di Andrea Emo Capodilista, che lui ha scoperto in traduzione tedesca nel 2015, riscontrando una immediata sintonia tra il nichilismo del filosofo padovano e la sua tensione verso un’arte iconoclasta: «Io so» dice l’artista «che tutto ciò che affronto contiene contemporaneamente la sua negazione». Il che corrisponde alla convinzione di Andrea Emo che «il nulla dell’arte moderna è Orfeo che si mette a guardare Euridice».

Quella che ha letto Anselm Kiefer è la prima raccolta, pubblicata in Italia nel 1989, dei quaderni di Emo Capodilista, “Il dio negativo”, che rivelò, grazie a Massimo Cacciari che la volle pubblicare, l’esistenza di un filosofo di cui pochissimi avevano sentito parlare, e che nessuno aveva potuto leggere. Perché il nobiluomo padovano, nella sua meravigliosa Villa Rivella, ai piedi dei Colli Euganei conservava, alla sua morte nel 1983, centinaia di quaderni, riempiti di minuta calligrafia, interamente dedicati ad una analisi filosofica lunga 38 mila pagine. Trecentoventidue quaderni scritti tra il 1925 e il 1981 sono quelli che sono stati analizzati e in parte pubblicati, ma non finché lui fu in vita. La sua era una scrittura totalmente privata, che non cercava o voleva lettori: un dialogo con se stesso, una ossessione di chiarezza cercata, che trovava solo ogni tanto, per breve tratto di strada, qualche compagno, come lo scrittore e pittore Alberto Savinio, come il filosofo Ugo Spirito, come Cristiana Campo.

Per il resto nulla, un filosofo nascosto che però ogni giorno, dal 1918 (quando aveva solo 17 anni) al 1983 (poche settimane prima di morire) ha compilato pagine di filosofie, dedicate all’essere e al nulla, al Dio che si nega, perché “nel negarsi, l’essere e il nulla coincidono, l’essere e il nulla sono entrambi negarsi”.

In 65 anni di scrittura, solo per 5 mesi Andrea Emo non ha scritto sui suoi quaderni, costretto dalla guerra. Per il resto, grande lettore, sempre in lingua originale: fosse inglese o arabo, greco antico o tedesco. Alberto Arbasino, che lo conobbe e lo frequentò racconta che «le sue biblioteche erano strabilianti: a Monselice, simile a un grande istituto di filosofia teoretica; e a Roma, con molti storici, molta Pléiade, molti Scrittori d’Italia, e anche tanti piccoli classici del Novecento italiano acquistati nelle prime edizioni». E quanto alla sua opera dice: «Si sapeva dei quaderni, naturalmente; ma non se ne parlava, né si vedevano. Erano segreti».

Da aristocratico della vita come del pensiero, neppure si laureò, anche se fu allievo di Gentile. Il titolo era superfluo, quello che contava era capire, scrivere. Amava la perfezione e la bellezza; per questo per Cristina Campo rientrava nella ristrettissima cerchia degli imperdonabili. La bellezza della sua villa, soprattutto, non per nulla, misteriosamente, l’ultima parola che scrive nei suoi diari è semplicemente “Scamozzi”, lo straordinario architetto di Villa Emo. La bellezza è “icona del vero”, ma nella concezione tragica della vita che ha Emo, essa è anche immagine della sua negazione. Ed è questo, quello a cui Kiefer e Parigi rendono omaggio. «Quando ho letto “Il dio negativo”» dice Kiefer «mi è parso chiaro che la filosofia di Emo fosse quasi la sovrastruttura intellettuale e spirituale del mio modo di fare. Per me il vero artista è sempre stato un iconoclasta impegnato a mettere in scena un ordine prossimo a naufragare nel nulla».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova