Le vite di Helen e Giuliano e quel volto disumano della burocrazia

Solo chi ne ha diretta esperienza può capire, solo chi ha in carico una persona totalmente disabile può sapere il prezzo a volte disumano che si deve pagare. Il prezzo della lacerante e imperitura sofferenza nel vedere un figlio o un parente stretto in quella condizione, nel dover trovare le forze per rinnovare ogni mattina le energie, l’ottimismo, la forza di buttare l’anima oltre la realtà e ogni sera di andarsela a riprendere. Il prezzo personale, di una vita dedicata a un altro che non ha la possibilità di viverla se non con una presenza sempre al fianco.
Ma c’è anche un prezzo in contanti, quelli indispensabili per tirare avanti, per i trattamenti, le cure, per affidare il figlio a qualcuno quando si va a lavorare. Il tutto alla potenza nel caso di una madre che, da sola, abbia affrontato tutto questo da sempre. Una madre a cui la burocrazia e l’applicazione a posteriori di una legge regionale sta togliendo una possibilità di sopravvivenza.
Giuliano è un ragazzo di 27 anni, tetraplegico con doppia emiparalisi mista, vive con la madre in una casa popolare di Abano: da solo non può fare nulla, mangiare, muoversi, perfino per tossire ha bisogno di aiuto. Ma la sua testa funziona, e bene, e quelle sei ore al giorno che passa al centro diurno nuova idea sono ossigeno, sono un valore impagabile: socializza, vede altre persone, non si richiude in se stesso, è l’unica chance fuori dalle quattro mura di casa. E per Helen, 66 anni, la mamma, sono la possibilità di andare a lavorare sapendo che il figlio è in mani sicure. Solo chi ci passa capisce a fondo cosa possa significare, il valore sconfinato di quelle sei ore al giorno, ma anche agli altri quantomeno la suggestione di quanto la cosa sia vitale dovrebbe bastare a far capire, dovrebbe arrivare. Non arriva però a Usl e Regione che finora hanno versato 800 euro al mese per le cure domiciliari e anche la retta del centro diurno. Finora.
Perché adesso, svegliandosi qualche ufficio, in virtù di una legge regionale del 2013 di matrice leghista, hanno posto a Helen un aut aut, sei anni dopo l’entrata in vigore della legge. E Helen si ritrova con un cappio a torcerle il collo: o Usl e Regione pagano il centro diurno e il contributo disabilità passa a 200 euro, oppure tiene il ragazzo a casa e continueranno ad arrivarle gli 800 euro. Che servono alla fisioterapia, alle cure, a garantire chi sempre ci sia qualcuno che lava, accudisce, nutre suo figlio quando lei non c’è. Una scelta che è una bestemmia.
Una donna che passa la vita a lottare contro il mondo al fianco di suo figlio, che per lui è unico sostegno, che non può mollare la presa nemmeno per un attimo, si ritrova a dover decidere tra il centro diurno o gli 800 euro al mese. Che, va ricordato, sono una miseria per affrontare tutto ciò che bisogna affrontare con un figlio paralizzato dalla testa al piedi o in qualsiasi caso di altra disabilità importante.
I 200 euro che rimarrebbero, se Giuliano continuasse a frequentare il centro diurno, non bastano a far fronte nemmeno alle minime necessità e lo stipendio serve a vivere. Qualcuno riesce a fare due conti? A immaginare come possono fare Helen e tutte le persone nelle sue condizioni, a tirare avanti? Qualcuno ha il coraggio di cancellare quelle sei ore di socialità dalla vita di quel ragazzo guardando la madre negli occhi? Probabilmente sì, è quello che sta succedendo.
Una bestemmia.
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