Lendaro: «L’adolescenza, un’età imperfetta»
Da giovedì in sala l’opera prima del vicentino, in cui recita anche la moglie Anna Valle. «Racconto una stagione inquieta»

VICENZA. “L’età imperfetta” è quella di Camilla che attraversa la propria adolescenza sulle punte, lungo un filo teso di emozioni esagerate e amplificate: qui il bianco, di là il nero, senza compromessi o scale di grigi. Un tempo che fraintende innocue sbucciature e le trasforma in ferite pulsanti; alterna amicizia e vendetta come solo l’equilibrio precario di una diciassettenne è capace di fare. L’adolescenza e le sue molteplici sfumature sono il terreno sul quale è cresciuta l’opera prima di Ulisse Lendaro, 44enne vicentino, un passato di attore teatrale e un presente da decifrare, tra certezze (la professione di avvocato che continua a esercitare) e aspirazioni artistiche dopo una iniziale sortita nel cinema indipendente come produttore.
Il film - “L’età imperfetta” per l’appunto (distribuito in sala dalla padovana Parthénos da giovedì) - nasce dalla consapevolezza dei propri mezzi e, insieme, dalla voglia di raccontare una fase così piena e tumultuosa della vita. «È un tema che mi ha sempre attratto» confida il regista «perché quello che siamo oggi lo dobbiamo anche alla nostra adolescenza. Un periodo in cui puoi sentirti il re dell’universo o un nerd senza speranza. Non ci sono mezze misure: tutto è vissuto in modo viscerale; la complicità scolora in nemesi, l’amicizia in sospetto». È ciò che accade a Camilla, ottimi voti a scuola, un rapporto conflittuale con la sorellina (interpretata da Ginevra, la figlia di Lendaro) e un sogno: quello di diventare una ballerina di danza classica. Quando nella sua vita irrompe Sara, sensuale e carismatica, anche lei aspirante ballerina, le loro strade si intrecciano, tra slanci d’affetto e crisi, fino ad una svolta imprevedibile. «È un’opera sull’ambiguità» continua Lendaro «e vorrei trasmettesse un sentimento di inquietudine. Per questo ho scelto di pedinare la mia protagonista, di starle sempre addosso: tutto è filtrato attraverso i suoi occhi e i suoi tumulti adolescenziali».
Verrebbe da azzardare un paragone con i fratelli Dardenne più che con “Il cigno nero” che qualcuno ha indicato come possibile fonte di ispirazione. «Sarei felice se il mio film fosse percepito così. In effetti siamo molto lontani dalla spettacolarizzazione di Aronofsky. Il pedinamento delle nuche, lo sguardo in soggettiva richiamano un cinema diverso, più intimo». Senza che questa scelta stilistica imprigioni Lendaro in una dimensione autoriale che (ancora) non può appartenergli. «Non ho mai voluto strafare con la macchina da presa. Vengo dall’esperienza di produttore di uno splatter indipendente - “Medley. Brandelli di scuola” - e sino ad oggi non mi ero mai avventurato alla regia. Credo però che un bravo regista debba, prima di tutto, saper dirigere gli attori come spero di aver dimostrato in questo film». Del resto “L’età imperfetta” si regge in gran parte sull’interpretazione di Marina Occhionero (Camilla) e di Paola Calliari (Sara), oltre che, in generale, sull’alchimia tra le stesse e le altre attrici del film, tra cui Anna Valle (che nella vita è la moglie di Lendaro) e Anita Kravos, in una storia tutta declinata al femminile. «Ero consapevole che la riuscita del film sarebbe dipesa dalla scelta delle attrici. Abbiamo fatto vari mesi di casting. Non cercavo degli stereotipi ma delle ragazze normali, anche nella recitazione. Non mi interessa ricercare la verità; volevo fare un film credibile a 360 gradi: come luci, come interpretazioni, come facce. Per questo ho aggiunto al provino classico una piccola prova di psicologia costruttivista: chiedendo alle candidate di parlare di loro stesse in terza persona, ho raccolto delle reazioni straordinarie». “L’età imperfetta” è stato girato tra Verona, Torri di Quartesolo e Padova ma i luoghi sono volutamente poco riconoscibili. «Si sente che è un film nordico ma non è geograficamente localizzabile. Il che è in linea con il tema universale dell’adolescenza e con la volontà di realizzare un’opera che, anche grazie all’ingrediente della danza, possa essere esportata all’estero e sia quindi spendibile anche fuori dai confini nazionali. Avrei voluto girare in inglese, ma come film d’esordio non si poteva fare di più».
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