Lino Selvatico l’anima della bellezza nella mondanità
L’esposizione ai Musei Civici agli Eremitani di Padova è un tassello fondamentale nella rivalutazione dell’artista

Essere il figlio di Riccardo Selvatico, poeta, commediografo, presidente dell’Accademia di Belle Arti e sindaco di Venezia che, insieme al cognato Giovanni Bordiga, aveva fondato nel 1895 la Biennale, poteva non essere d’aiuto alla vocazione artistica di Lino. Tuttavia, dimostrando un precoce talento pittorico coltivato lontano dalle rigidità accademiche, il giovane seppe imporsi sulla scena dell’arte del primo Novecento, a partire dalla partecipazione alla Biennale del 1899. Più che alla pittura di genere, al verismo ciarliero e al neoclassicismo ancora vivo nelle aule d’Accademia, Lino si appassionò alla pittura moderna che passava in Biennale, sventandone edonismo e frivolezza con le sue personali meditazioni sull’arte. Riconosciuto e apprezzato da critici del calibro di Vittorio Pica e Ugo Ojetti, Lino Selvatico conobbe poi la quarantena che i pittori della modernità subirono con il Ritorno all’ordine del dopoguerra e, in verità, poco ancora gli rimaneva da vivere: morì infatti nel 1924 a soli cinquantadue anni.
Negli ultimi tempi Lino Selvatico ha ritrovato il suo posto tra i protagonisti della formidabile stagione artistica a cavallo tra Ottocento e Novecento e dunque appare quanto mai opportuna la mostra che si è inaugurata ieri ai Musei Civici agli Eremitani di Padova “Lino Selvatico. Mondanità e passione quotidiana” curata da Davide Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi e Federica Milozzi (catalogo grafiche Turato, sino al 10 dicembre). Realizzata con la fattiva collaborazione della famiglia Selvatico, la mostra presenta una cinquantina di dipinti e oltre sessanta carte con disegni, acquerelli e grafiche. Un corpus che consente di valutare, al di là della fama acquisita di ritrattista, l’effettivo valore pittorico di Lino Selvatico, la ricerca di un’originalità che, ad esempio, gli fa comprendere e amare precocemente il simbolismo, come ha sottolineato Silvio Fuso, stabilizzandolo su un «canone artistico» dove «Grazie e Bellezza, scoperte e inventate nelle forme della Natura e dei Corpi» diventano una specie di regola che vale al di là delle mode. Queste riflessioni si trovano in un taccuino giovanile rinvenuto di recente e, di fatto, riposizionano l’indipendenza del Selvatico, marcando la distanza da consimili maestri del tempo, anche conterranei come Ettore Tito, la cui euforica vitalità è quanto di più distante ci possa essere dall’aggraziata, ancorché sensuale, flessuosità dei nudi femminili del Selvatico.
Nell’occasione viene anche rivisto il ruolo dell’apprendistato presso Cesare Laurenti che, lungi dall’orientare il giovane verso l’eclettismo neorinascimentale che appassionava il maestro, gli consentì di apprendere i segreti del disegno e della pittura. Certo guardò al coté internazionale degli inglesi (Sargent, Whistler) e agli italiani come Boldini e Corcos, ma poi trovò una sua via al ritratto moderno.
I tagli di luce che salgono da sfondi in ombra per riverberarsi sui volti e sull’incarnato, l’immediatezza degli sguardi, la complicità dei richiami sembrano fondersi in un tipo di bellezza che possiede una certa gravità, non svanisce con la fragranza mondana dei tocchi di pennello. In altre parole il fascino delle sue dame non appare effimero ed è proprio la composizione pittorica a risarcirle di consistenza sentimentale, psicologica, pur nella fluidità della pennellata moderna e pur fuori dal naturalismo ottocentesco.
Lino Selvatico riesce a fondere languore e malinconia, un vertice di seduzione che circola negli sguardi e nelle pose della Signora in giallo come delle altre signore della buona società veneziana da lui ritratte. Ma la moglie no: la galleria dei ritratti della moglie Francesca possiede un’altra cifra, quella della bellezza generosa e composta, venata di una tenace dolcezza.
La mostra padovana, per la ricognizione scientifica e per la varietà delle prove anche inedite che presenta, appare come un tassello fondamentale nella rivalutazione di Lino Selvatico. Nella città del Santo egli ebbe i natali, per via della famiglia della nonna paterna imparentata anche con l’architetto Jappelli, e si laureò in Giurisprudenza nel 1896, pur avendo intrapreso la via della formazione pittorica presso il Laurenti sin dagli anni dell’università.
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