Luigi Biasetto: «I miei dolci ricordi in pasticceria»

PADOVA. «Il lievito madre ci rende la vita impossibile, bisogna bagnarlo ogni quattro ore». Luigi Biasetto esce dal suo bel laboratorio a vista nella pasticceria accanto a Porta Pontecorvo a Padova e si toglie il grembiule. Per lui tenere in vita un lievito madre che ha più di 90 anni è questione di vita o di morte. «L’altro ieri in un corso in Francia» racconta «ho mostrato agli studenti come si fa. Ho preso una mela appassita, l’ho frullata e mescolata con la farina ed ecco il lievito madre, ma per affinarne il gusto devono passare anni». Anche se è diventato una star della pasticceria e un imprenditore che vende dolci in tutte le capitali europee, lavorare in cucina continua piacergli molto. «Lo faccio tutte le volte che posso» dice «soprattutto tra cinque e le sei di mattina». Ma non cucina soltanto. Da ieri è in libreria “Senza dolce non è vita” (Piemme, p. 176, 17 euro) un libro che verrà presentato a Padova, alla Ibs Libraccio, il 16 dicembre. «Finora» dice Biasetto con un accento che conserva intonazioni di francese «avevo scritto manuali per le scuole di pasticceria. Non mi interessava un libro solo di ricette. Volevo un libro che ricordasse quelli dell’Ottocento. Ho raccontato i dolci, ma anche i miei ricordi».
Biasetto è nato in Belgio ma la famiglia è veneta. «Le mie radici sono in Belgio perché lì ho imparato la pasticceria» spiega «ma credo di essere un pasticcere internazionale perché per molti anni ho fatto il consulente in tutto il mondo e continuo a farlo». Poi è arrivato a Padova. «Negli anni Novanta volevo aprire un locale mio e Igino Massari, un amico e collega, mi ha suggerito Padova, perché secondo lui mancava una grande pasticceria. È stata la scelta giusta». Da Padova è partita la sua fama nazionale, mentre quella internazionale in parte già c’era. Ora è nel novero ristretto delle grandi firme. «Essere sotto la luce dei riflettori aiuta, inutile negarlo» conferma «ma è un rischio perché se sbagli cadi rovinosamente».
Sentendo Luigi Biasetto parlare di cioccolato si capisce come siano le piccole differenze a determinare la qualità. E lui è uno che coglie le sfumature «Un pasticciere che non sia un buon assaggiatore» dice «può essere al massimo un esecutore». Nel gusto contano molto le radici. «Le competenze» aggiunge «le impari a scuola, ma le radici contano molto di più. Quelle familiari, ma anche quelle della cultura da cui vieni. Le chiacchiere veneziane che preparava mia nonna sono ancora oggi per me le migliori che io abbia mai mangiato». Per questo, nonostante l’influenza francese, lui si sente made in Italy. «I francesi» sostiene «sono bravi, fanno molte meno cose di noi però le hanno affinate, le valorizzano. Noi italiani inseguiamo il nuovo, e per questo facciamo da traino, ma tralasciamo quello che dovremmo consolidare».
Biasetto ha fatto scuola. «In giro» dice «ci sono 500 pasticcieri che hanno lavorato con me, gli allievi dei corsi sono invece migliaia». Il suo è un sistema che, assieme al fratello, ha affinato negli anni. «È sempre necessario capire il perché delle cose, per poter migliorare. Ci sono tre settori in cui agiamo continuamente. Il primo è l’aspetto estetico dei dolci, un altro è l’alleggerimento di zuccheri e di grassi, il terzo è la conservazione, perché i dolci sono fragilissimi. Un mio maestro diceva che i suoi cioccolatini dovevano essere consumati entro mezz’ora. Era un estremista, ma aveva ragione. Dopo mezz’ora il contrasto tra la croccantezza dell’esterno e la cremosità dell’interno si perde» sostiene. Oggi i dolci di Biasetto sono presenti in mezza Europa. «Proprio ieri» spiega «abbiamo inaugurato una pasticceria a Folgaria. Siamo presenti a Londra, a Parigi, a Roma, Milano, Firenze, Bologna, Mestre». Manca Venezia, ma forse verrà. Anche perché Biasetto vuole continuare a crescere: «Siamo partiti in tre, qui a Padova, adesso siamo in più di 50 considerando il laboratorio di Selvazzano».
Il dolce che lo ha reso famoso è la Sette Veli, marchio imitatissimo. «Sono false il 90% delle Sette Veli che si vendono nel mondo. Da un lato ne sono felice, perché è come la Sacher, un dolce che tutti riconoscono, dall’altro mi fa arrabbiare perché è un marchio registrato. Io ne sono il padre e Cristian Beduschi, un pasticcere cadorino, è la madre». Un parto importante. «Volevamo un dolce riconoscibile come italiano e allora abbiamo pensato alle nocciole. Poi le nocciole hanno chiamato naturalmente l’abbinamento col cioccolato. Erano gli anni Novanta e la colazione cambiava con i corn flakes e li abbiamo inseriti. Infine volevamo la croccantezza del millefoglie e abbiamo pensato alle foglie sottili di cioccolato». Un successo internazionale, ma non immobile. «Ogni due anni» dice «ripensiamo il nostro modo di fare le cose. Lo zabaione con cui accompagnamo il panettone piaceva a tutti, potevamo continuare, ma era troppo alcolico, aveva troppo zucchero, lo abbiamo rimesso in discussione e oggi lo può mangiare un bambino. La settimana scorsa abbiamo scoperto sul lievito madre cose che nessuno sapeva. Cambiando l’acidità i tempi di lievitazione passano da 6 ore a 24 ore e cambia completamente il gusto». Misteri della chimica in cucina, che Biasetto studia con passione. «La lezione è una sola» conclude «bisogna tenere il cervello aperto. Sempre. Quasi tutti fanno ancora i bignè come li faceva Popelini alla corte di Francia nel Cinquecento. Ma questo non significa che sia il modo giusto. Semplicemente sbagliano da cinquecento anni».
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