L’ultimo Daniel Day-Lewis in un melò oltre la storia e l’amore

Un film che insiste sul corpo e la materialità, dando spazio a un amore controverso fatto di resistenze e condivisioni, un attore che affida a una prestazione olimpica il suo addio al grande schermo,...

Un film che insiste sul corpo e la materialità, dando spazio a un amore controverso fatto di resistenze e condivisioni, un attore che affida a una prestazione olimpica il suo addio al grande schermo, un regista che è arrivato a una maturità estetica e psicologica di altissimo livello: è l’imperdibile “Il filo nascosto” di Paul Thomas Anderson, in pole position per gli Oscar.

Nella Londra degli anni ’50, il sarto Reynolds Woodcock (ispirato al couturier spagnolo Cristobal Balenciaga) è il centro della moda britannica, veste teste coronate e star del cinema, ereditiere e debuttanti, con lo stile distinto e classico di un celebre atelier. Impenitente tombeur de femmes, Woodcock incontra una giovane e non troppo elegante cameriera, Alma (Vicky Krieps), che ne diventa musa e amante, in un rapporto dialettico di reciproca dipendenza che lo porterà a chiederle di sposarlo. Il filo nascosto di una vita - meglio: fantasma, come nel titolo originale - è intessuto nella trama dei nostri abiti mentali, nelle psicologie chiare o inconsce della nostra anima, ma spesso vi è bisogno di un’altra anima (lo è Alma, anche in latino, sinonimo di nutrimento) per farlo emergere. Anderson affida - dieci anni dopo “Il petroliere” - alla grande fisicità di Daniel Day-Lewis l’espressione di un disagio interiore che trova spazio in un lavoro alienante nei tempi e nei modi, in atteggiamenti e repulsioni maniacali, come i protagonisti di “The Master” o “Magnolia”, e dove l’universo femminile è viziato dall’assenza della madre morta, parzialmente sublimata nella sorella Cyril, cerbero e complice della sua vita al punto da farsi carico di liquidare le fidanzate. Per scardinare questo equilibrio, Alma è costretta a ricorrere a un espediente che renda Woodcock insieme docile e ostinato, sottomesso e autonomo. Con più di qualche rimando a Hitchcock (quasi una “Rebecca” rovesciata nei soggetti e negli esiti) e almeno uno a Rossellini (quando Richard va a recuperarla nella folla, come in “Viaggio in Italia”), questo splendido melò va oltre la moda e la storia d’amore mostrando come la resistenza continua del corpo sull’anima possa essere vinta con un’azione altrettanto costante e maniacale com’è quella del sarto. In “Il filo nascosto” le mani misurano e cuciono, quasi che l’operosità di alcune stanze della casa possa dar soluzione al gelo esistenziale delle altre. E «liberare dalla maledizione”, come recita la frase chiave che il sarto affida a ogni vestito, cucita nelle fodere».

Durata: 130’. Voto: **** ½

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